In Italia meglio la rendita o il profitto?
Benetton è stata una delle imprese più innovative in Italia degli ultimi decenni, con un vasto assortimento tra cui i diversi punti vendita potevano scegliere in tempo reale in funzione della domanda che ciascuno fronteggiava.
Un’innovazione che ha condotto Zara al successo.
I Benetton invece hanno poi acquisito Autostrade, una delle privatizzazioni più improbabili che mai potessero essere individuate, e hanno capito (non anticipando la tragedia del ponte Morandi) che la rendita è molto meglio del profitto.
E anche la politica pubblica si è adeguata, ormai da decenni: il profitto è il male, la rendita il bene, dai taxi agli allevatori di bestiame all’acciaio alle banche alle professioni il principio di riferimento è sempre lo stesso del passato quando i bloccati erano i supermercati: proteggere chi già opera.
Come conseguenza di tutto questo abbiamo poco da mostrare ai nostri figli, archeologie industriali, declino e i fasti del passato.
La politica macroeconomica non è colpevole.
Non sono infatti le politiche di austerità che ci hanno impedito di crescere, ma gli assetti regolatori raramente disposti a tollerare il nuovo.
E una domanda pubblica mai propositiva mai innovativa, anch’essa solo orientata a proteggere, a salvaguardare a difendere. Neanche il PNRR ci farà diventare fieri delle nostre imprese che comunque stentano a nascere e a crescere.
Gli investimenti privati necessari per la trasformazione verde e digitale della nostra economia cui fa riferimento Mario Draghi non si realizzeranno senza un cambiamento radicale delle norme che regolano l’ingresso delle nuove imprese nel mercato e la trasformazione di quelle già presenti.
Non servono sussidi, ma una diversa impostazione delle politiche pubbliche, non più volte a mantenere l’esistente (e a favorire rendite grandi e piccole) ma a liberare il futuro.
Riccardo Dinoves
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