La pressione fiscale penalizza la crescita della produzione
Le imprese italiane sono sempre più nel mirino del fisco: nel 2017 sono stati 1 milione e 595 mila i controlli eseguiti dall’Agenzia delle Entrate e dalla Guardia di Finanza.
Tra accertamenti analitici o parziali, controlli incrociati o eseguiti per strada, accessi in azienda, verifiche sulla corretta emissione di scontrini e ricevute o comunicazioni spedite via Pec su anomalie riscontrate negli studi di settore, possiamo affermare che, in linea generale, quasi un’azienda italiana su 3 è stata oggetto dell’attenzione degli 007 del fisco.
Rispetto al 2016 l’attività ispettiva e di controllo è più che raddoppiata, in particolar modo a seguito dell’esplosione dell’attività di “compliance”, ovvero delle comunicazioni preventive con le quali l’Amministrazione finanziaria ha chiesto agli imprenditori informazioni su presunte incongruenze emerse dall’analisi della propria posizione fiscale.
Dati, quelli pubblicati dall’Ufficio studi della CGIA, molto allarmanti che fotografano solo una parte dell’attività ispettiva dello Stato nei confronti del mondo produttivo: infatti, in queste cifre non compaiono i dati relativi all’azione di controllo realizzata dall’Inps, dall’Inail e dalle Asl che con frequenza altrettanto impressionante continua a esercitare un “pressing” del tutto ingiustificato sulle imprese.
Nonostante gli annunci e le promesse fatte in questi ultimi anni l’oppressione fiscale sulle aziende non alleggerisce la presa.
Tutto questo è il frutto di una cultura ideologica che non siamo ancora riusciti a lasciarci alle spalle.
Infatti, una parte della politica e dell’Amministrazione pubblica italiana continua ad avere una visione ottocentesca degli imprenditori.
Questi ultimi sono ancora concepiti come i padroni delle ferriere che esercitano la propria attività sfruttando e depredando la gente.
Padroni che vanno bastonati più che si può non appena ne capita l’occasione, padroni da spennare e da tenere sotto controllo continuo.
Non è così,perché la quasi totalità degli imprenditori italiani sono persone oneste che con il proprio lavoro hanno creato ricchezza, occupazione e benessere e per continuare a farlo chiedono uno Stato amico e più efficiente.
In altre parole, al netto dell’attività di controllo in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, le associazioni di categoria chiedono al nuovo Governo un allentamento delle ispezioni e delle visite fiscali, cercando di concentrare maggiormente l’attenzione su coloro che sono sconosciuti al fisco, come pure le attività/lavoratori autonomi completamente in nero.
Oltre a ciò va ricordato che il nostro paese si caratterizza per una eccessiva burocrazia che continua a ostacolare la ripresa economica, che le impedisce di svilupparsi come dovrebbe e che prosegue a relegarla in quasi tutte le statistiche europee.
I tempi e i costi della malaburocrazia sono diventati una patologia che caratterizza negativamente il nostro Paese.
Non è un caso che molti operatori stranieri non investano da noi proprio per l’eccessiva ridondanza del nostro sistema burocratico.
Incomunicabilità, mancanza di trasparenza, incertezza giuridica e adempimenti troppo onerosi hanno generato un velo di sfiducia tra imprese e Pubblica amministrazione che dobbiamo rimuovere in tempi ragionevolmente brevi.
È evidente che se non si mette definitivamente mano a quel labirinto inestricabile di leggi, decreti e circolari varie che rendono la vita impossibile a milioni di piccoli imprenditori, corriamo il pericolo di soffocare la parte più importante della nostra economia.
In generale, abbiamo sempre più bisogno di una Pubblica amministrazione snella ed efficiente.
In questi ultimi anni, invece, il costo della burocrazia che grava sul sistema produttivo delle Pmi ha superato, secondo gli ultimi dati elaborati della Presidenza del Consiglio dei Ministri, i 30 miliardi di euro l’anno: praticamente quasi 2 punti di Pil.
Questa situazione ha costretto moltissime aziende a trascurare il proprio business per occupare gran parte del tempo alla compilazione di certificati, moduli e istanze varie: un’anomalia che deve essere assolutamente rimossa se vogliamo dare un futuro a questo Paese.
Ovviamente, concludono dalla CGIA, la responsabilità di tutto ciò non può essere “imputata” a chi lavora nel pubblico.
Anzi, gli statali spesso sono vittime di questa situazione, visto che moltissimi lavoratori operano con mezzi e risorse del tutto insufficienti.
Salvarico Malleone
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