Le concessioni balneari cercano una soluzione immediata
La vicenda delle concessioni balneari ha assunto connotazioni surreali. Si tratta di uno dei casi nei quali l’Europa deve minacciarci con multe per farci fare una cosa che è da tutti i punti di vista nei nostri interessi nazionali.
Da anni l’Unione ci chiede di avviare processi competitivi per la messa a bando delle concessioni balneari, finora affidate senza alcun criterio se non l’assegnazione ad personam.
Le concessioni sono state rinnovate di volta in volta con colpi di mano del Parlamento (e con la connivenza dei governi) e in mancanza di una qualunque connessione tra canoni di concessione e valore.
Si tratta di una rendita enorme per un certo numero di persone assegnata ad personam in qualche tempo passato.
L’ultima proroga, addirittura di 15 anni, è arrivata nel 2018.
Ma perché sarebbe importante affidare con procedura competitiva le spiagge?
L’affidamento a privati di parte delle spiagge è in generale desiderabile sia per motivi fiscali, sia per generare investimenti che preservino ed anzi aumentino il valore del bene comune sia per motivi di equità sociale.
In generale senza affidare in concessione a privati parte del patrimonio, può verificarsi una classica tragedia dei beni comuni, in cui un bene pubblico viene trascurato, decade per mancanza di incentivi a manutenerlo e investirci, e finisce per essere inutilizzabile per effetto dell’incuria generale.
In questo schema i proventi dagli affidamenti, che generano reddito per la valorizzazione dei beni, possono poi essere usati per la manutenzione di altri beni demaniali che restano nella disponibilità del pubblico e a disposizione gratuita degli utenti.
È abbastanza ovvio che la tensione tra la proprietà collettiva dei beni comuni e la necessità di valorizzarli in parte coi privati, non può risolversi affidando arbitrariamente ad personam una fonte di reddito così importante.
Sia per ragioni di equità che per ragioni di efficienza l’affidamento non può che avvenire con una procedura competitiva.
Le ragioni di equità sono semplici: si tratta di mettere tutti i cittadini sullo stesso piano in quanto a possibilità di ottenere una concessione.
E di eliminare l’odiosa abitudine di legittimare un privilegio futuro sulla base di un privilegio di cui si è goduto in passato.
Di fatto le concessioni attuali sono conseguenze di affidamenti arbitrari probabilmente frutto di collusioni con la politica locale, e a loro volta fonte di potenziale corruzione della politica locale.
L’affidamento arbitrario (a prezzi irragionevoli) infatti è la classica rendita che genera l’asta occulta per comprare i favori della politica.
La strada maestra per evitare la corruzione non è manette e/o moralismo.
Si tratta di eliminare quando possibile la rendita arbitraria.
A parte le questioni di equità e corruzione però, ci sono le questioni di efficienza.
L’affidamento ad asta rende trasparenti sia gli investimenti sia l’efficienza comparativa di chi gestisce la spiaggia.
Teoricamente il gestore più efficiente e quindi in grado di valorizzare meglio la spiaggia sarà in grado di acquisirne il controllo.
In realtà i meccanismi competitivi trasparenti sono meno che perfetti e quindi non possiamo aspettarci il meglio in assoluto, ma di certo meglio dell’arbitrio politico contingente.
C’è poi una questione cruciale che riguarda gli investimenti.
Fin quando le concessioni non saranno affidate con un meccanismo di certezza legale, non possiamo aspettarci investimenti rilevanti sulle spiagge.
L’incertezza che ha caratterizzato il regime precedente con rinnovi, anche assurdi, totalmente arbitrari, illogici e illegali, non può generare investimenti ottimali perché non sostenibile nel lungo periodo.
E chi è destinatario di un favore ad hoc così palese non può non esserne conscio: il superamento dell’arbitrio è la precondizione per generare investimenti adeguati, ed anche occupazione in chiaro, emersione del reddito.
Il testo del governo sugli affidamenti fornisce ampie garanzie sui costi che la misura potrebbe generare.
Ci sono ad esempio salvaguardie per investimenti effettuati, e i meccanismi di affidamento dovranno tenere conto dell’impatto sociale sui gestori che abbiamo la concessione come unico mezzo di sostentamento e delle capacità di gestione maturate.
Dopodiché i canoni dovranno essere adeguati al vero valore della gestione.
Il testo del governo non trascura certo gli interessi degli attuali concessionari quindi.
Il prolungamento del regime attuale è davvero insostenibile sotto i profili equitativi, fiscali e di efficienza.
Si tratta di uno di quei casi in cui la politica nazionale non ha la forza o la capacità di prendere provvedimenti nell’evidente interesse collettivo per rispondere agli interessi di una minoranza concentrata.
Il vero pericolo è che la misura, che sarà attuata tramite una delega al governo, non abbia alcuna reale efficacia.
La scadenza delle concessioni è fissata a fine 2023 e la delega dovrebbe essere esercitata in tempi brevissimi, prima della fine dell’anno.
I partiti fanno sempre in tempo nella prossima legislatura a capovolgerne gli effetti con un’altra proroga dell’entrata in vigore del nuovo regime.
Non si fatica a vedere come si muoverà la lobby nel corso del prossimo anno.
Ritardare il processo ora per condizionare le forze politiche nel corso delle elezioni e incassare la proroga dopo le elezioni.
Questa volta però la pazienza delle istituzioni europee per la acquiescenza della nostra politica ai privilegi dei pochi potrebbe essere finita.
Anselmo Faidit
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