L’altra Italia dissestata
Ogni buon padre di famiglia, ogni persona normale sa che recandosi al mercato per comprare prosciutto e melone il portafoglio deve contenere almeno venti euro, se ve ne sono appena dieci si acquistano due barattoli di fagioli borlotti ed un chilo di riso, in alternativa si resta in casa.
Non si tratta di essere laureati in Economia e Commercio o di aver frequentato qualche master alla Bocconi. Si tratta solo di buon senso e di un pizzico di responsabilità che ogni persona dovrebbe possedere. A maggior ragione se questa persona occupa poltrone e incarichi pubblici di una certa responsabilità.
In Italia abbiamo 83 pubbliche amministrazioni in dissesto finanziario ed altre 146 che si stanno avvicinando a passo veloce, dati risalenti a giugno 2016. Ad un fallimento non ci si accosta dalla sera alla mattina, lo si fa con pessime gestioni contabili di trimestri e trimestri, a volte di anni. Pessime gestioni dovute ad incapacità contabili e a volte anche a ben precise volontà di amministrare con finalità illegali.
Se un’azienda privata porta i libri contabili in Tribunale le conseguenze le subisce direttamente la proprietà. Se una pubblica amministrazione, Comune o Provincia, è in dissesto finanziario le conseguenze gravano sulle nostre spalle.
Esiste una sottile differenza tra il fallimento ed il dissesto finanziario.
Il fallimento riguarda l’imprenditoria privata mentre il dissesto finanziario quella pubblica.
Quest’ultimo atto giuridico è stato introdotto con l’art. 25 del decreto legge del 2 marzo 1989, vi sono poi state successive modifiche. Nel 2000 è stato adottato il Testo Unico, stabilisce che si ha il dissesto finanziario quando il Comune non è più in grado di assolvere alle proprie funzioni e ai servizi indispensabili, oppure quando esistono crediti che non possono essere liquidati.
Un fornitore, di beni o di servizi, nei confronti di un’azienda privata può far ricorso all’atto giuridico del fallimento e giungere alla conclusione anche della chiusura dell’attività del creditore, non altrettanto può verso l’ente pubblico. Deve armarsi di pazienza ed attendere, magari anni.
Tra i comuni più noti dei municipi disastrati vi sono Battipaglia, Benevento, Caserta, Cassino, Catania, Cosenza, Foggia, Frosinone, Messina, Napoli, Pescara, Reggio Calabria.
Dall’entrata in vigore del decreto legge del 1989 sono oltre 500 i Comuni che hanno dichiarato dissesto. Considerando che in Italia vi sono circa ottomila Comuni significa che oltre il 6 per cento sono stati, o sono, in dissesto finanziario.
In questo orgoglioso elenco per volontà politica non è stata inclusa Roma.
Nei giorni scorsi Andrea Mazzillo, neo assessore al Bilancio della capitale, ha dichiarato che “Non siamo assolutamente vicini al dissesto finanziario” ed ha aggiunto che “il Comune di Roma ha un debito coperto da finanziamenti, un debito finanziario che serve per adempiere ad obblighi normativi e che si aggira intorno al miliardo e duecentomila euro; nel 2008 invece di commissariare un Comune si è commissariato un debito, e questa è un’anomalia”.
Le consuete furbastrate italiote.
Nel 2008 i politici per coprire le incapacità dei colleghi capitolini si inventarono il commissariamento del debito di 13,7 miliardi che arrivano a 20 con gli interessi e che pagheremo tutti noi cittadini normali.
Ovvio che sarebbe stato uno schiaffo al candore politico dichiarare fallimento per la Città Eterna, municipio più importante della penisola.
Per pochi curiosi è doveroso rammentare che i recenti primi cittadini dell’Urbe sono stati:
Franco Carraro dal 18 dicembre 1989 al 20 aprile 1993;
dal 21 aprile al 4 dicembre 1993 vi è il commissario;
Francesco Rutelli dal 5 dicembre 1993 all’8 gennaio 2001;
dal 9 gennaio al 27 maggio 2001 di nuovo commissariato;
dal 28 maggio 2001 al 13 febbraio 2008 Walter Veltroni;
dal 14 febbraio al 28 aprile torna il commissario;
dal 29 aprile 2008 all’11 giugno 2013 giunta di centro destra con Gianni Alemanno;
dal 12 giugno 2013 al 31 ottobre 2015 Ignazio Marino;
dal 1° novembre 2015 al 22 giugno 2016 ancora un commissario
ed infine dal 23 giugno il nuovo sindaco Virginia Raggi, la quale per timore di furti e ruberie come prima decisione ha ritirato la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024.
La situazione del Comune di Roma è una voragine di cui non si conosce il fondo. In 25 anni la sinistra ha sempre occupato lo scranno più alto del Campidoglio, tranne un quinquennio.
Sperperi e favoritismi alla base del dissesto concreto.
Un dissesto che dal 2008 è lievitato ad una media di 125 milioni l’anno ed oggi sfiora il miliardo.
Tornando al quadro nazionale si nota che il 59 per cento dei comuni sono in Campania, 24, e Calabria, 25. Come sovente accade ci si imbatte nella beffa. Il prossimo G7 del 26 e 27 maggio 2017, per decisione del premier Matteo Renzi, si terrà a Taormina, la città jonica si sta incamminando verso il dissesto con 13 milioni di euro di debiti. È auspicabile che oltre confine non giunga questa buona nuova.
Tra gli 84 Comuni ve ne sono 1 cadauno in Toscana, Marche, Lazio, Molise e Basilicata; 2 in Piemonte; 5 in Puglia; 6 in Abruzzo; 16 in Sicilia. Tutte le altre dimostrano che è possibile amministrare la cosa pubblica nell’interesse della collettività e senza sporcarsi le mani.
Le provincie dissestate invece sono: Ascoli Piceno, Asti, Chieti, Imperia, La Spezia, Novara, Potenza, Terni, Varese e Verbano Cusio Ossola.
Ovvio che con simili baratri amministrativi le pensioni minime rimarranno a lungo sotto la soglia dei 500 euro mensili e i 4.600.000 italiani continueranno a rimanere in “povertà assoluta”.
la Redazione
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