La BP interrompe i rapporti commerciali con la Russia
La BP, British Petroleum, una delle quattro maggiori società mondiali nel settore energetico, le altre sono Shell, Total ed ExxonMobil, con sede a Londra, a seguito dell’invasione della Russia in Ucraina, ha deciso di abbandonare la sua partecipazione nel gigante petrolifero Rosneft.
È il primo esempio di alto profilo dell’auto-sanzione da parte delle aziende occidentali dei loro legami commerciali con la Russia.
Un processo che potrebbe avere implicazioni importanti – a breve e lungo termine – per i mercati energetici.
La drammatica uscita della BP dalla sua quota del 19,75% di Rosneft potrebbe costare alla major petrolifera quotata a Londra fino a 25 miliardi di dollari, un prezzo pesante da pagare “per fare la cosa giusta” in risposta all’invasione russa dell’Ucraina.
“Sono stato profondamente scioccato e rattristato dalla situazione che si sta verificando in Ucraina e il mio cuore e’ con tutte le persone colpite. Questa situazione ci ha indotto a ripensare radicalmente alla posizione di BP in Rosneft”, ha detto senza mezzi termini l’amministratore delegato di BP, Bernard Looney.
La rottura di un solido legame durato tre decenni da parte della BP verso la Russia fa pressione anche su altre major petrolifere occidentali, spingendole a riconsiderare i loro rapporti commerciali con Mosca.
Questi includono Shell, che possiede il 27,5% dell’impianto di gas naturale liquefatto (Gnl) Sakhalin-2 sull’isola russa di Sakhalin nel Pacifico, e la francese TotalEnergies, che come una partecipazione del 19,4% in Novatek, una partecipazione del 20% nell’impresa Yamal LNG e il 21,6% nel progetto Arctic LNG 2.
Se altre società occidentali cercheranno di abbandonare le loro operazioni russe, è probabile che le ramificazioni siano significative.
Le implicazioni nel breve termine sono che quelle società occidentali probabilmente non solleveranno più carichi di petrolio greggio e Gnl da queste operazioni.
Ciò significa che non acquisteranno, scambieranno o trasporteranno i volumi che avevano in passato. Questo non vuol dire necessariamente che il greggio e il Gnl non verranno venduti o consegnati, ma rendera’ piu’ difficile commercializzarli per le società russe coinvolte e vendere i carichi che venivano presi dalle major petrolifere occidentali prima.
Se a ciò aggiungiamo anche la rimozione di alcune banche russe dal sistema di pagamento internazionale Swift, si intuisce come il commercio di greggio russo e Gnl sia appena diventato sostanzialmente più complicato.
Non importa che le sanzioni occidentali contro la Russia, Putin e la sua cerchia ristretta non prendano direttamente di mira le materie prime energetiche, perché è comunque probabile che la maggior parte delle società commerciali, raffinerie, servizi pubblici, spedizionieri, banche e assicuratori riterranno che nelle circostanze attuali fare affari con la Russia sia troppo rischioso.
E anche se le aziende tentassero di continuare il business con Mosca, è probabile che diventi tutto piu’ complicato. E quindi i volumi delle esportazioni potrebbero ridursi poiché ci vuole più tempo per organizzare i carichi e, al fine di incentivare le aziende a continuare a fare affari con la Russia, il prezzo del suo greggio e GNL, e probabilmente anche del carbone, dovrà essere al di sotto delle alternative.
Anche le implicazioni a lungo termine per le esportazioni di energia della Russia sono profonde.
In apparenza può sembrare praticamente impossibile per il mondo cavarsela senza il paese che produce il 10% del greggio mondiale e fornisce il 40% del gas naturale all’Europa, ed è improbabile che le esportazioni di energia della Russia scendano a zero.
Ma nel tempo gli acquirenti cercheranno di allontanarsi dalle forniture russe, specie i paesi occidentali.
Nel tempo i flussi di petrolio potrebbero cambiare, con paesi come la Cina e l’India che acquisterebbero più petrolio russo, ma solo se il prezzo scende.
Il Gnl russo e il gas naturale potrebbero essere più difficili da sostituire nel breve o addirittura a medio termine.
Ma l’aggressione di Putin è stato un importante campanello d’allarme per i leader europei, che probabilmente cercheranno soluzioni a breve termine come l’acquisto di più GNL dal mercato spot, cercando di aumentare la produzione domestica di gas naturale e persino posticipando il ritiro della generazione a carbone e nucleare.
Col tempo maggiori investimenti nelle energie rinnovabili e nello stoccaggio delle batterie contribuiranno a ridurre la dipendenza dal gas russo.
Il punto è che l’invasione di Putin ha probabilmente dato il via a un processo che non sarà fermato, anche se la Russia interrompesse le azioni militari in Ucraina, ritirasse le truppe e cercasse una soluzione diplomatica al confitto.
I cambiamenti che stanno arrivando alle esportazioni di energia della Russia saranno probabilmente strutturali e potrebbero vedere Mosca diventare sempre più dipendente da una manciata di grandi acquirenti che non vorranno più avere a che fare con un regime autoritario e instabile.
Riccardo Dinoves
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