Il voltafaccia dell’Occidente, e della Nato, verso la Russia
L’allargamento della Nato a Est è un tradimento di quanto promesso dall’Occidente alla Russia di Mikhail Gorbaciov alla fine della Guerra Fredda.
Lo sostiene l’ex segretario generale della Farnesina, Umberto Vattani.
Il diplomatico ricorda che, quando fu deciso di includere la Germania riunificata nell’Alleanza Atlantica, l’orientamento dei leader del vecchio continente – Francois Mitterrand, Giulio Andreotti, Margaret Thatcher e lo stesso Helmut Kohl – era quello di affrontare il problema della stabilità europea insieme alla Russia.
“Dai documenti declassificati americani, tedeschi, inglesi e francesi, è chiaro che i leader del Cremlino si videro dare una cascata di assicurazioni dagli occidentali che la Nato non si sarebbe mossa nemmeno di un dito a Est, ‘not one inch eastward’, per usare la formula dell’allora segretario di Stato Usa, James Baker”, prosegue Vattani, “sono frasi riportate nei documenti diplomatici che oggi possiamo leggere, Baker diceva che non ci pensava nemmeno a danneggiare gli interessi sovietici e non una, ma tre volte confermò che la giurisdizione della Nato non si sarebbe mossa nemmeno di un dito a Est”.
“Le stesse assicurazioni giunsero da Thatcher, che nel giugno 1990 propose un’organizzazione più politica, un’alleanza meno minacciosa dal punto di vista militare, con la Csce come foro dove coinvolgere in pieno l’Unione Sovietica sul futuro dell’Europa”, spiega ancora il diplomatico in una intervista al direttore dell’Agi Mario Sechi “è questo che Gorbaciov e Shevardnadze si sono sentiti dire e, quando il ministro della Difesa russo, il maresciallo Jazov, chiese al successore di Thatcher, John Major, se pensava che certi Paesi europei avrebbero potuto aderire alla Nato, gli fu detto che nulla del genere sarebbe accaduto. Mitterrand diceva addirittura che bisognava smantellare la Nato, fu Andreotti che disse di volere gli americani in Europa”.
L’allargamento della Nato a Est fu una conseguenza dell’attacco americano all’Iraq del 2003, dopo il quale gli Usa premiarono con l’adesione all’Alleanza i Paesi dell’ex Patto di Varsavia che sostennero l’intervento per rovesciare Saddam Hussein.
Se l’operazione ‘Desert Storm’ del 1991 avvenne con la benedizione della Russia, spiega Vattani, George W. Bush sapeva che l’intervento del 2003, che aveva l’obiettivo esplicito di spodestare Saddam Hussein, “non sarebbe mai riuscito ad ottenere il mandato dell’Onu” e “non avrebbe mai trovato l’appoggio della Russia”.
“In Iraq non ci voleva andare nessuno e Bush trovò l’appoggio dei Paesi che erano stati liberati dalla pressione sovietica e lo aiutarono mandando truppe”, prosegue il diplomatico, “come compenso, sono entrati nella Nato immediatamente”.
Nondimeno, racconta Vattani, “quando sono entrati i Paesi baltici la Russia non ha reagito perché sono piccoli Paesi e non poteva temere nulla dall’ingresso dei baltici ma quando nel 2008 a Bucarest ci fu la decisione della Nato di aprire a Ucraina e Georgia la reazione russa fu terribile, lo stesso anno ci fu la guerra con la Georgia e, quando ci fu un cambio di regime a Kiev e un presidente pro russo fu sostituito da uno pro americano, nel 2014 ci fu l’annessione della Crimea”.
“Noi abbiamo fatto quello che avevamo detto che non avremmo mai fatto quando la Russia pose fine alla Guerra Fredda”, sottolinea il diplomatico, “la Nato non doveva estendersi fino ai confini della Russia e abbiamo fatto esattamente questo”.
Fu in quel momento, spiega ancora Vattani, che Putin decise di sposare la dottrina dell’ex ministro degli Esteri Evgenij Primakov, secondo il quale “gli americani seguono un’agenda tutta loro che la Russia non ha alcun interesse a seguire, il mondo non è unipolare ma multipolare e Mosca deve lavorare con Cina e India per ristabilire l’equilibrio e tornare alla stabilità e, terzo criterio, la Russia deve essere più assertiva nei Paesi più vicini a lei”.
“E’ questa la dottrina che sta seguendo Putin”, conclude, “risale a molto tempo e fa e deriva da questo atteggiamento che gli americani hanno assunto, di voler fare esattamente il contrario di quello che avevano detto l’ex presidente George H. W. Bush e il suo segretario di Stato, James Baker”.
Questa grande apertura nei confronti della Russia fu rilanciata, 10 anni dopo, dall’ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, quando – ricorda Vattani – al G8 del 2001 il Cavaliere propose a Putin una partnership più stretta con l’Unione Europea e, un anno dopo, a Pratica di Mare, fece in modo che si istituisse per la prima volta il Consiglio Nato-Russia.
“E quel Putin che parlò con Berlusconi è lo stesso Putin di oggi”, chiosa l’ex segretario generale della Farnesina.
Per risolvere la crisi in Ucraina serve una conferenza e occorre abbandonare la formula dei vertici bilaterali, dove nessuno vuole cedere per non perdere la faccia.
“È inutile dire che vogliamo che i russi facciano una de-escalation, non lo faranno mai, che figura ci fanno?”, spiega Vattani, “Macron, Scholz, Putin e Biden sono tutti leader e chi esce con un risultato positivo mette tutti in ombra, nessuno ammette questo genere di perdite di prestigio”.
Secondo Vattani “la vecchia diplomazia non faceva incontri bilaterali, capiva che era meglio vedersi intorno a un tavolo perché è la conferenza che ha deciso così, non c’è uno che ha ceduto o guadagnato”.
Aggiunge il diplomatico: “Gli americani dicono che i russi vogliono che l’Ucraina abbia uno status inferiore a quello che le spetta, un’Ucraina non sovrana, non capace di scegliere le sue alleanze, ma è un modo sbagliato di vedere le cose
“L’Ucraina ha il diritto di chiedere quello che vuole, il problema è se lo ottiene o no”, prosegue Vattani, “per entrare nella Nato serve l’unanimità: tre Paesi – Italia, Francia e Germania – potrebbero assicurare a Putin che non accetteranno che l’Ucraina entri purché l’Ucraina abbia garanzie di sicurezza”.
Un modello simile quindi a quello della Finlandia che “è neutrale e non ha mai avuto problemi dalla Russia” sebbene “ora le stia venendo voglia di entrare perché la Nato è diventata uno status symbol”.
In conclusione, secondo Vattani, “ci sono tutti gli elementi per un accordo da cui ciascuno esca bene ma bisogna lasciarlo fare ai diplomatici, in maniera riservata. La prima lezione della diplomazia è che non puoi stravincere, se vuoi la pace devi tenere conto degli interessi degli altri”.
Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, che presto incontrerà a Mosca il presidente russo Vladimir Putin, ha “un’opportunità colossale” di rilanciare il dialogo se saprà proporre una conferenza che parta da diplomatici di medio livello e coinvolga tutti, andando oltre la formula degli incontri bilaterali.
“Tutti questi pellegrinaggi a Mosca dove portano? È andato Macron, è andato Scholz… Draghi ha un’opportunità colossale, in queste condizioni l’Italia ha più abilità di altri, non si può negare”, osserva Vattani, “l’Italia è sempre in grado di attenuare le tensioni, di cercare un modo per la convivenza, siamo quelli che hanno sempre saputo ampliare il dialogo, lo abbiamo sempre fatto”.
“Cosa impedisce all’Italia, avendo una personalità come Draghi che ci invidiano tutti, di suggerire l’invio di funzionari di medio livello che si incontrano con i russi, ma non in modo bilaterale bensì in conferenza?”.
“Se Draghi riuscisse a trovare funzionari di medio livello che si sentono, cercano di capire cosa vogliono gli altri, le cose magari iniziano a prendere forma e mano a mano che le cose vanno avanti, si può pensare poi a qualche incontro a livello più alto, partendo dai direttori politici”.
“Bisogna aiutare i russi, gli americani e gli altri a ricominciare umilmente con la diplomazia, si inizia con un foro multilaterale – e l’Italia ci deve stare – come l’Osce, si riunisce questo gruppo, si fanno i primi ‘sondaggi’ sulle concessioni reciproche possibili”,
“Draghi potrebbe fare questo: dire a Putin che francamente questa situazione nuoce a tutti, non c’è nessuno che possa rallegrarsi, siamo tutti nervosi e, in attesa, nessuno vuole perdere la faccia. Draghi può dire che nessuno vuole un conflitto, che bisogna aiutare a uscire da questa agitazione e, se siamo d’accordo per vederci, mandiamo prima i funzionari di medio livello e poi i direttori politici”.
“La carta importante che può giocare Draghi è quella di promuovere la strada della vecchia diplomazia che manca in tutto l’Occidente, ovvero cercare di capirsi gli uni con gli altri”, conclude Vattani, “altrimenti continueremo così, ma può partire sempre un colpo per errore, in una situazione in cui tutto è possibile”.
Arnaud Daniels
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