È tempo di progettare il futuro del dopo coronavirus
È cominciato il count-down per il domani dopo coronavirus.
Qualcosa dovrà cambiare nella quotidianità del nostro vivere per chi vive nei villaggi, nelle città e nelle metropoli.
La dolorosa esperienza del corona-veleno ci farà maggiormente riflettere sulle nostre abitudini, sulle nostre regole, sui nostri rapporti.
Abbiamo vissuto il “distanziamento sociale” come se amici, conoscenti e parenti fossero il nemico invisibile da tenere alle debite distanze.
Dobbiamo pensare ai nostri spazi, alle nostre città, con un’ottica diversa.
Dobbiamo avere più verde nelle città e questa deve diventare un’esigenza improrogabile e molto forte.
Piantare un albero per cittadino, ma ora deve essere fatto in tempi molto rapidi e con un progetto definito.
Non basta piantare alberi, bisogna creare nuove situazioni di spazio collettivo che non prevedano per forza la concentrazione delle persone. Spazi pubblici non focalizzati.
Un esempio potrebbe essere un parco che non ha un centro, e che in questi momenti in cui la città è chiusa è diventato uno dei pochi posti dove si può andare senza incontrarsi, un modello non basato sul tema della concentrazione.
A loro volta, non guardando più soltanto il proprio ombelico, ma guardandosi intorno, le città dovranno pensare a delle cinture di aree protette attorno a sé.
Corridoi ecologici” appena fuori dalle proprie ‘mura’.
D’altra parte, se c’è una cosa che il Covid-19 ci ha insegnato è che il salto di specie, lo ‘spillover’ compiuto dal coronavirus, è dovuto ad un’invasione dell’uomo in un mondo che non era il suo.
Quel microbo che abitava serenamente nel pipistrello asiatico, ha trovato il modo di arrivare in una specie di origine africana, il pangolino, tramite il mescolamento artificialmente operato dall’uomo nel caotico mercato di animali al centro di una città da 15 milioni di abitanti.
Un obbrobrio biologico che ha dato il via alla serie di eventi catastrofici che hanno travolto la nostra specie.
Portiamo a conclusione il corridoio ecologico sulla dorsale appenninica, costituito da una un grande sistema di riserve che restituisca spazi alla vita delle altre specie.
Una delle grandi questioni che emergerà nei prossimi anni sarà il tema della dispersione.
La prossimità dei corpi resterà un tema aperto: andremo verso una spinta, un bisogno, un desiderio di forme di comunità e coabitazione che richiedono di diluire la concentrazione dei corpi.
Una città che ha un territorio immenso e ingloba al suo interno tante porzioni di storia stratificate, grandi spazi aperti, pezzi di cultura e di zootecnia.
Decentrare le città è dunque il motto che ci guiderà.
Dovremo pensare a smistare sul territorio la nostra struttura sanitaria.
Pensiamo e attuiamo finalmente un modello di energia reticolare e decentrata. Sfruttiamo le innovazioni come la geotermia o le batterie a idrogeno e creiamo sistemi di autosufficienza energetica nei quartieri.
Alcune zone metropolitane potrebbero produrre più energia di quanta non ne consumino.
L’obiettivo finale è ridurre i gas serra.
La produzione di polveri sottili e di CO2 è una delle concause del contagio in Lombardia. Quindi questa è una questione cruciale: è di un’urgenza necessaria.
Bisogna decidere di abbandonare per sempre la fase dei carburanti fossili, ma non con la solita retorica superficiale e inutile, quel mondo è finito. Chiuso per sempre.
Abbiamo gli strumenti per farlo: le case automobilistiche sono in grado di convertire la produzione, e va incrementato questo processo.
Città come Milano, Roma, Napoli dovranno rivoluzionare la loro mobilità, anche perché con lo smart working, che diventerà una condizione pervasiva, la circolazione delle idee avverrà sempre di più senza il movimento di corpi.
Anche la circolazione delle merci, in futuro le case funzioneranno avendo una quinta facciata perché i tetti saranno dei punti importanti di accesso per il sistema delle merci con i droni.
Un esempio è la città che alcuni progettisti stanno realizzando in Messico, a Cancun, con edifici verdi, che hanno la geotermia e il solare come alimentazione energetica, e accessi alla mobilità elettrica e su acqua.
Il ‘ritrarsi’ delle città a favore della natura, poi, passerà inevitabilmente dall’abitare ‘verticale’ diventerà una necessità più di prima.
Avere delle proprie capsule private riducendo al minimo lo sfruttamento degli spazi, ma portando la natura dentro.
Bisogna realizzare il bosco in città con criteri adattabili alle esigenze moderne che tengano conto delle esperienze vissute tragicamente.
In conclusione, l’augurio è che il grande trauma che il mondo globalizzato sta vivendo e avrà vissuto a causa del virus non passi inutilmente, che i morti, i sacrifici e le sofferenze non svaniscano senza lasciare traccia.
Riccardo Dinoves
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