Guerre silenziose e nascoste lontane dallo sguardo
L’Europa dopo secoli e secoli di guerre e battaglie fratricide da poco più di settant’anni ha deposto le armi ed ha compreso che i problemi si risolvono sedendosi attorno ad un tavolo dal quale ci si deve alzare solo quando è stata trovata una soluzione indolore. Abbiamo rischiato qualcosa sino alla caduta del Muro a novembre 1989 con le contrapposizioni Usa-Urss, o in russo Cccp, ma alla fine a Mosca hanno compreso che vivere in pace giova alla mente e al corpo.
È un particolare che non tutti hanno compreso o voluto comprendere anche perché da dietro le quinte vi è l’industria bellica che versa di continuo benzina sui numerosi focolai di scontri armati.
Il mondo è cambiato e si è evoluto e ai nostri giorni non è semplice distinguere tra una guerra, una rivolta, il terrorismo e le cosiddette guerre asimmetriche, ovvero combattute da eserciti, o para-militari, che dispongono di forze sproporzionate tra di loro.
È il caso del Messico ove nella battaglia tra militari e i narcos ha sinora procurato circa 10.000 vittime.
Cifre più spaventose sono quelle della guerra in Siria dove dall’inizio del conflitto civile, marzo 2011, tra forze governative che combattono opposizione interna, curdi e Isis, secondo i fati recenti diffusi a metà marzo dall’Osservatorio siriano per i diritti umani vi sono state oltre 320.000 morti e 145.000 persone scomparse. L’Osservatorio riferisce che tra le persone uccide oltre la metà sono civili. L’Unicef ha comunicato che nel solo 2016 sono stati ammazzati 652 bambini.
Poi c’è l’ultradecennale scontro tra israeliani e palestinesi che presenta sempre nuovi ostacoli ogni qualvolta i governanti dei due Paesi si siedono attorno ad un tavolo nel tentativo di reperire accordi per porre fine a bombardamenti e stragi che oramai si protraggono dal 1948, subito dopo la proclamazione dello Stato di Israele.
Tra i conflitti che non finiscono in prima pagina vi è quello all’interno del Bangladesh, quello in Uganda tra paramilitari e forze governative, risalente al 1995 ma che di recente ha ripreso di intensità. Altrettanto caotica è la situazione nel Mozambico ove la Resistenza Nazionale, la Renamo, cerca di abbattere il governo in carica e che giorno dopo giorno si amplia e peggiora.
Altri focolai prosperano in Birmania, nel Burundi, nelle Filippine, in Tailandia, in Angola, in Nigeria.
Nell’elenco occorre inserire ciò sta accadendo in questi giorni nella Repubblica Democratica del Congo, in particolar maniera nella provincia del Kasai. È in atto una guerra civile tra gruppi ribelli e truppe dell’esercito regolare.
Nelle ultime ore fonti delle Nazioni Unite hanno divulgato un comunicato nel quale si parla del ritrovamento di 13 fosse comuni che vanno addizionate ad altre 10 scoperte giorni addietro. Difficile avere un quadro nitido della situazione, di certo sono parecchie centinaia i morti mentre gli sfollati superano i 200mila.
L’agenzia Fides il 31 marzo ha emesso un comunicato ove si specifica che i ribelli hanno attaccato Luebo, cittadina di 40mila abitanti nella provincia del Kasai, e profanato la cattedrale di San Giovanni, bruciato e devastato immobili appartenenti alla Chiesa, la cancelleria, l’episcopio, il noviziato delle religiose. Oltre una settimana fa tesero un’imboscata a un convoglio militare e decapitarono 40 soldati.
Il presidente uscente, il 46enne Joseph Kabila Kabange eletto nel luglio 2006 e rieletto a novembre 2011, non esterna la volontà di abbandonare la carica nonostante la Costituzione gli impedisca di essere eletto una terza volta. Ogni settimana è buona per qualsiasi scusa e si rimanda alle calende greche.
La Repubblica democratica del Congo, poco meno di 70 milioni di abitanti con almeno 300 etnie diverse, possiede enormi ricchezze nel sottosuolo, sterminate foreste di legni pregiati quali l’ebano e il mogano, fiumi con riserve idriche imponenti che attirano gli sguardi dei Paesi confinanti ma anche europei e della stessa Cina che si è impossessata di quasi tutte le miniere di cobalto.
La rivolta del Kasai ha procurato oltre 200mila sfollati e diverse centinaia di morti, ma non è l’unica provincia in assetto di guerra perché anche il Katanga, nel sud della repubblica, e la fascia orientale con il Nord e il Sud Kivu ogni giorno fanno registrare stragi e imboscate.
Le tensioni che vive il Paese giocano a favore di Kabila che per rimanere in carica fa leva sulle conseguenze che potrebbe generare un’assenza di potere per cui rimane saldamente attaccato alla poltrona, potendo contare anche sulle continue divisioni dalle quali sono pervase le opposizioni.
Arnaud Daniels
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