Enzo Vìzzari, dal 2017 non più ventesimi ma cappelli

Enzo Vìzzari direttore le Guide de L’Espresso
Per l’aria già si sente odor di mosto. Se, come atavica tradizione, il contadino non piange e non si lagna si può pacificamente sostenere che ci troviamo di fronte ad un’annata positiva sia dal punto di vista della quantità e sia della qualità. Stabilire a settembre il responso delle vigne e delle botti diventa arduo, però propagandare che l’11 novembre si potranno stappare un paio di bottiglie di bollicine, questo lo si può fare, forse i fuochi d’artificio no però due bottiglie di quelle buone sì.
Cade quest’anno il trentesimo del famigerato metanolo. Si tratta di un anno malefico, quel balordo 1986. Tutto il settore vitivinicolo sprofonda nel baratro nazionale e internazionale. Qualche cantina addirittura apre i rubinetti e scarica il nettare, bianco o nero che sia, nelle condotte. I jettatori pronosticano un futuro nero d’ebano e che le vigne vadano rase al suolo. E invece no.
Alla pari dell’araba fenice i nostri viticultori incassano la batosta, si stringono nelle spalle ed in silenzio tornano a zappare, a studiare, a programmare, a migliorare. Soprattutto a migliorare, ad anteporre la qualità alla quantità e ad eliminare le mele marce.
Senza fragori e senza boria girano pagina, ma soprattutto hanno il gran merito di aver fatto dimenticare alla svelta il malefico 1986.
Ed oggi a distanza di 30 anni si può tranquillamente affermare che sono stati bravi, molto bravi, hanno dimostrato professionalità ma soprattutto si sono distinti per quelle capacità che tutto il pianeta ci invidia: ingegno e lavoro.
Oramai il settore vitivinicolo alla pari della moda, dell’alimentare e del lusso è divenuto colonna portante del Made in Italy. I recenti dati ufficiali confermano la leadership mondiale dell’Italia che con 48,5 milioni di ettolitri dovrebbe consolidare quest’anno il primo posto precedendo Francia, 43 milioni, e Spagna, 42,5 milioni.

Massimo Bottura, l’Eccellenza in cucina
L’altra bella notizia è quella pervenuta settimane addietro da oltreoceano.
A New York durante la cerimonia del World’s 50 best restaurants 2016, da tutti considerato come l’Oscar della ristorazione, Massimo Bottura, patron dell’Osteria Francescana di Modena, ha conquistato il podio più alto dopo il secondo posto della passata edizione e il terzo del 2013 e 14. Oramai il 54enne cuoco modenese fa parte delle Eccellenze ed è sinonimo di Made in Italy. Massimo Bottura è il primo connazionale ad ottenere tale riconoscimento.
Chi ha intuito e previsto con largo anticipo l’ulteriore crescita professionale del superdecorato chef si chiama Enzo Vìzzari.
Per quei pochi che ignorano chi sia è sufficiente dire che anche grazie a lui la cucina italiana negli ultimi lustri ha compiuto passi da gigante.
Nasce a Varallo Sesia, Vercelli, nel 1946 in una famiglia nella quale il culto del mangiar bene è tenuto in alta considerazione, dove si predilige la qualità alla quantità, affina il palato alla bontà ed un po’ alla volta a furia di esercitare la gola diventa goloso. Talmente goloso che come regalo per la 18esima candelina chiede una trasferta a Busseto, Parma, un tavolo da Peppino e Mirella Cantarelli, siamo nella patria di quell’altro più famoso Peppino, il Verdi del Nabucco. Peppino e Mirella servono in tavola spalla cotta, culatello, savarin di riso, tortelli ed il suo rinomato soufflé di lingua. Da quel giorno sarà un girovagare per trattorie e ristoranti alla scoperta di nuovi piatti e di nuovi chef.
Con il tasca il diploma di maturità si iscrive a Giurisprudenza. Divenuto dottore entra negli organici della Pirelli per pochi anni poi si trasferisce in Confindustria ove raggiunge la dirigenza. Dato che oltre all’hobby delle posate coltiva anche quello della penna principia a dilettarsi in piccole recensioni, piccole come misura non certo come contenuto e forma. Scrivi, scrivi, scrivi e alla fine decide che forse da grande farà il giornalista.
La sua firma prima compare su Brescia Oggi, poi passa al Giornale di Brescia, quindi a L’Indipendente, a Grand Gourmet e infine il salto al Corriere della Sera, La Repubblica e L’Espresso. Il 2001 il gruppo De Benedetti gli affida la direzione dell’Area Guide divenendo direttore responsabile di Guida dei Ristoranti d’Italia, Guida dei Vini d’Italia e Guida Alberghi e Ristoranti d’Italia. Nel contempo cura il settore enogastronomico di Repubblica e L’Espresso, François Mauss lo include nella giuria del Grand Jury Européen du Vin.
Nella sua camera ha sempre tre valigie pronte per le improvvise telefonate che riceve dai vari continenti.
L’8 ottobre dello scorso anno, come sempre avviene, alla Leopolda di Firenze si presenta I Ristoranti d’Italia 2016. Tra lo stupore generale e le facce stralunate, l’equipe di Enzo Vìzzari assegna a Massimo Bottura 20/20, ovvero il massimo della valutazione tipo 110 e lode con ciliegina. Mai sino ad allora la Guida de L’Espresso ha premiato uno chef con quel voto. È lo stesso Enzo Vìzzari a precisarlo nel corso della mattinata alla folta platea.
Come mai? Che di punto in bianco nella redazione siano divenuti supergenerosi?
Interrogativi e dubbi che sorgono ma che vengono depositati prontamente nei cassetti della memoria. Il nodo viene sciolto pochissime settimane addietro allorquando in un’intervista il direttore di Guida annuncia che il sistema di valutazione con i ventesimi va in archivio e dalla prossima edizione subentrano i “cappelli” da zero a cinque. Metodo più snello e più semplice.
Da questo si comprende che i 20/20 assegnati a Massimo Bottura sono stati anche un riconoscimento difficile da contestare. E comunque va dato atto a Vìzzari ed il suo gruppo di aver premiato il migliore e di aver sfatato l’adagio “nemo propheta in patria”.
“In effetti avevamo deciso di cambiare tipologia valutativa e che il 2016 sarebbe stato l’ultimo con i ventesimi. Ovviamente non lo si poteva dichiarare pubblicamente in quella occasione, però ci è parso doveroso assegnarlo al cuoco che moltissimi ci invidiano”.
L’onestà intellettuale non guasta mai. Ma non di cuochi e di cucina mi preme discorrere con Enzo Vìzzari quando le vigne già si apprestano ad essere invase da forbici e ceste. Siamo primi al mondo per la quantità di vino prodotto ma si può affermare anche per la qualità?

Enzo Vìzzari e le novità del 2017
“Siamo stati molto bravi in trent’anni a raggiungere questi traguardi, ci siamo preoccupati principalmente di produrre e di badare un tantino meno alla qualità, però negli ultimi due, tre lustri abbiamo curato tantissimo la qualità ed i risultati li possiamo constatare facilmente. Vi sono parecchie etichette che oggi hanno raggiunto quotazioni di prestigio. Piemonte e Toscana producono vini apprezzati in tutto il mondo e nella loro scia si sono perfettamente inserite Veneto, Puglia, Sicilia e altre regioni. I nostri vignaioli hanno compreso perfettamente che devono privilegiare la qualità per trovare aperti i mercati internazionali”.
Uno dei mercati principali è la Cina, dove noi esportiamo vino per 90 milioni di euro a differenza della Francia che gliene vende per oltre 800 milioni all’anno.
“I francesi hanno le antenne più lunghe delle nostre sui mercati esteri, sono presenti da diversi decenni per cui posseggono delle strutture commerciali più strutturate ed organizzate, riescono a leggere con anticipo l’andamento del marketing. Noi ci stiamo muovendo molto bene e recuperiamo terreno ma non va dimenticato che siamo al quinto posto e prima di noi ci sono anche Australia, Cile e Spagna. Questi sono paesi che presentano bottiglie con cifre fortemente concorrenziali. L’accordo raggiunto con il colosso cinese e-commerce Alibaba ritengo sia parecchio vantaggioso ed i frutti li coglieremo anche a breve”.
Torniamo in Europa, sono trascorse diverse settimane e del cataclisma Brexit non ci sono tracce.
“Difficilmente eventuali contrazioni si registreranno nel settore agroalimentare. I nostri rapporti commerciali sono consolidati da anni e gli inglesi amano la nostra cucina ed i nostri prodotti”.
Segnali positivi anche dalla Russia.
“Probabilmente il peggio è alle spalle, vi sono segnali di apertura che potrebbero ampliarsi anche a breve. La crisi tra russi e ucraini fortunatamente non si è allargata. Con la Russia avevamo stipulato ottimi accordi anche in prospettiva. Dobbiamo essere ottimisti”.
Su un particolare i francesi sono molto più bravi di noi: sanno fare squadra, sono molto meno individualisti di noi e centrano obiettivi meglio e prima di noi.
“Ieri certamente era così, oggi parecchio meno. Magari i francesi sono aiutati molto di più dalle istituzioni, sanno fare sistema cosa che gli italiani ancora non ci riescono bene. Abbiamo delle strutture ministeriali inefficienti che dovrebbero supportare le nostre aziende e i nostri produttori che valicano le Alpi. L’ICE (Istituto Commercio Estero) dovrebbe stare a fianco delle piccole e medie società, incrementare e promuovere iniziative valide nella commercializzazione internazionale ma spesso è assente”.
I recenti dati della Coldiretti ci dicono che nei primi cinque mesi dell’anno abbiamo incrementato l’export verso la Francia del 196% di spumanti, per ogni bottiglia di champagne che valica il Frejus ne spediamo sei di spumante.
“Se i francesi importano e brindano con le nostre bollicine possiamo rimanere certi che è di ottima qualità, investire sulla qualità premia sempre”.
Prima di chiudere mi sorge un dubbio: ma riusciremo a surclassare Michelin?

Gli chef premiati nel 2015
“Quasi certamente no. La loro prima pubblicazione risale al 1900, sono presenti in dodici paesi europei, se pubblicano a distanza di oltre un secolo significa che posseggono capacità e professionalità. Sono bravi di sicuro, contano su una organizzazione oliata e collaudata, dispongono di coperture economiche e finanziarie importanti per cui è pressoché impossibile che qualcuno possa scalzarli.
Ovvio che vi sono delle differenze tra noi e loro. Noi descriviamo le motivazioni della valutazione cosa che Michelin non faceva sino a pochissimi anni fa ed oggi esprime un pensiero laconico. Altra differenza, più sostanziale, è quella del ristorante e della cucina, per noi il voto è assegnato alla cucina, alle capacità dello chef mentre i francesi valutano l’insieme di cucina, sala e cantina. Ciò a volte crea dei malumori ma è ovvio che ci siano punti di vista differenti per la diversa metodologia che adottiamo. Naturalmente tutti gradirebbero il massimo con la lode ma servirebbe un miracolo”.
Giusto per capirci. Intanto il prossimo appuntamento è fissato per giovedì 20 ottobre, sempre alla Leopolda, sempre a Firenze.
bruno galante
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