Fabrizio Merlo, quando il Barolo diventa passione
Grande è la fortuna di chi possiede un’ottima bottiglia, un piacevole libro, un saggio amico.
I nostri antenati amavano circondarsi di tali peculiarità nei momenti spinosi e nebbiosi, un vantaggio che noi italiani abbiamo sempre utilizzato e sfruttato. Se poi il fato concede la gioia di nascere in un territorio accarezzato dal sole e dalla bellezza e allora sì che la vita scorre veloce e gradevole.
Le Langhe sono baciate dalla dea bendata, ma non sono quei baci veloci e fuggevoli oltre che ingannevoli, no, sono baci che si imprimono nel cuore e nella memoria.
Le Langhe sono panorami e cartoline incantevoli che affascinano e delle quali non ci si può scordare.
Se ne sono accorti anche i responsabili dell’Unesco i quali nella riunione del Comitato del Patrimonio Mondiale tenutasi nel Qatar a Doha dal 15 al 25 giugno del 2014 hanno riconosciuto il paesaggio delle Langhe e Roero oltre che del Monferrato come “una eccezionale testimonianza vivente della tradizione storica della coltivazione della vite, dei processi di vinificazione, di un contesto sociale, rurale e di un tessuto economico basati sulla cultura del vino”.
Stiamo parlando di un territorio le cui viti producono le eccellenze della vinificazione Barolo e Barbaresco, oltre a Nebbiolo, Roero, e poi Dolcetto, Barbera. Ma non solo vini.
Perché nelle Langhe si trova il celeberrimo tartufo bianco, ci sono anche gli ettari coltivate a nocciole per la Nutella.
In pratica c’è una fetta importante del brand Made in Italy.
Non si spiega diversamente il fatto che un ettaro di terreno vitato a Barolo ha una quotazione che oscilla da 1.200.000 a 2.500.000 euro, cifre che fanno sudare freddo.
Ecco perché il vecchio adagio “contadino, scarpe grosse e cervello fino” è largamente superato poiché le scarpe oramai non sono più grosse ma son diventate griffate, e che griffe!
Una delle etichette che maggiormente ci rappresenta oltre le Alpi è quella di Fabrizio Merlo, la Sylla Sebaste.
Fabrizio arriva alla cantina seguendo un tragitto indiretto. Conseguita la maturità scientifica si iscrive ad Economia e Commercio, messi da parte libri e testi universitari inizia a lavorare in una ditta che produce componentistica elettronica, gli viene affidato il settore commerciale ove matura esperienza che depone in un cassetto.
Tramite amici viene a sapere che sono in vendita alcuni appezzamenti di terreno.
Seppure abbia seguito studi che non conducono al vitivinicolo in cuor suo ha sempre desiderato possedere qualche ettaro di vigneto. La proprietà dispone di alcuni ettari nelle Langhe ed altri nell’alessandrino. Si informa e avvia le trattative. Siamo verso la fine del secolo scorso.
I vecchi proprietari sono un armatore greco sposato con una genovese. Vola in cielo prima l’armatore e nel 1997 scompare anche la consorte, non lasciano eredi. La gestione del patrimonio è affidata ad un commercialista genovese.
Non vanno tanto per le lunghe ed in poche settimane raggiungono un accordo. Il rogito avviene nel 2000.
Gino nazionale soleva ripetere “l’è tutto da rifare”.
La frase storica è parecchio ben intonata con la transazione immobiliare compiuta da Fabrizio in quanto l’armatore, essendo uomo di mare, alla terra era molto poco legato, per lui quell’appezzamento era simile ai giocattolini che si depositano in un recipiente giusto per raccontarlo agli amici e alle amiche. Dalla scomparsa della coppia, 1997, viene poi lasciato in grande abbandono senza neppure eseguire l’indispensabile e il necessario.
Ugo, lo zio di Fabrizio, è un rinomato enologo con fiuto per il vitigno. Prende per mano il nipote, gli insegna l’abbecedario ma soprattutto gli inculca amore e passione per la vigna. Gli spiega passo passo con calma e pazienza sin nei minimi particolari, gli insegna che con la vite serve pazienza e costanza ma che innanzitutto non bisogna pretendere di ottenere risultati immediati.
La ricostruzione significa anche notevole ulteriore investimento perché serve reinnestare tutto e prima che un ceppo entri a pieno regime ci vogliono quattro o cinque anni. È necessario stringere i denti insieme alla cinghia.
“Sono stati anni difficili, però sapevamo che la primavera sarebbe arrivata. Abbiamo atteso con pazienza, abbiamo proseguito a lavorare, non ci siamo scoraggiati perché eravamo convinti che l’obiettivo sarebbe stato raggiunto. Lavoro, grinta ed entusiasmo. D’altronde è risaputo che il vino prima di essere versato nel bicchiere necessita di mesi di cura e di assistenza, è come i pargoletti, nella terra e nella cantina. Specie chi possiede piccoli appezzamenti queste regole le osserva con maggiore zelo, quasi maniacale”.
Superato il quinquennio in salita, principiano le gratifiche e le soddisfazioni.
“Sin dal primo istante ci siamo prefissi di anteporre e privilegiare la qualità, avendo maturato esperienze commerciali so perfettamente che se lavori con l’estero non devi deviare di un millimetro. La precedente esperienza mi è servita tanto specie nel dare il giusto risalto e la dovuta importanza alla comunicazione che con l’export è fondamentale in particolare oggi che tutto il pianeta viaggia con internet. Noi commercializziamo circa 80.000 bottiglie l’anno ed il 95 per cento è destinato ai mercati esteri, è stata una mia precisa scelta.
Ho seguito un certo filo logico. L’Italia produce tra i migliori vini al mondo ed ogni regione ha delle particolarità, chi segue le fiere e le rassegne specialistiche questi particolari li conosce. In ogni provincia e regione si beve quasi sempre il vino del territorio, fatta eccezione, magari, per Milano e Roma che sono città più internazionali. Abbiamo pochi e selezionati clienti in Piemonte, Liguria e Val d’Aosta”.
Il discorso di Fabrizio non fa una grinza, visto che stiamo parlando del Barolo, il re dei vini, invece di cercare un cliente a Reggio Calabria distante 1.300 chilometri, me ne cerco uno a Vienna a 1.050 chilometri oppure a Monaco di Baviera a meno di 700, stessa distanza per Parigi.
“Per noi Francia, Germania, Austria, Inghilterra, sono mercati importanti. I nostri clienti sono ottimi intenditori con i quali abbiamo instaurato un rapporto che va oltre l’aspetto commerciale, con loro andiamo a cena, ci scambiamo gli auguri, se vengono in cantina sono miei ospiti”.
A proposito di Inghilterra, ed ora con il Brexit?
“Secondo me si è creato un polverone che nella realtà non esiste. Gli inglesi non sono mai voluti entrare completamente in Europa, non si sono mai sentiti europei per cui era scontato l’esito del referendum.
A questo gli aggiungi il problema degli extracomunitari (è notizia delle ultime ore che a Calais i britannici erigeranno un muro lungo due chilometri per bloccare il flusso migranti, ndr) e ti accorgi che i sudditi di Elisabetta non hanno intenzione di rimanere in Europa. Ho degli ottimi clienti a Londra e Manchester, giusto questa mattina mi è pervenuta la conferma d’ordine e nelle prossime ore deve partire un pallet”.
E la Russia?
“Per noi è una regione difficile, oggi non siamo presenti, domani chissà”.
Giappone e States?
“Il Giappone va bene, ci lavoriamo da tre lustri. Gli Stati Uniti coprono una fetta importante del nostro export. Ho avuto la fortuna di incontrare una persona con la quale abbiamo allacciato ottimi rapporti commerciali e di fiducia. Francesco Scalia, questo il suo nome, oltre che essere nostro importatore ci fa anche da broker ed assorbe quasi la metà del nostro export. È una splendida persona e contiamo di sviluppare ulteriormente il mercato nordamericano”.
Ciò significa partecipare a tante fiere e manifestazioni che si tengono non solo in Europa.
“Ovvio, ci sono dei costi non indifferenti, ma per noi sono investimenti. Però, a noi serve anche per conoscere direttamente l’acquirente per rafforzare la relazione commerciale e per creare le premesse di incrementarle.
È un investimento come tanti altri i cui esiti li controlliamo direttamente. Stiamo studiando alcuni particolari per comprendere bene il mercato cinese, non è facile e semplice però ha un potenziale enorme di crescita, i francesi lo hanno compreso con largo anticipo ed oggi esportano in quella direzione in maniera eccezionale.
Spesso ne discuto anche con Luca Caramellino, il nuovo enologo, perché in tempi relativamente brevi si deve divenire operativi”.
A proposito di francesi. In 30 anni siamo stati bravi a superarli in quantità e qualità, sino a poche stagioni addietro ci guardavano e ci osservavano con ironia e sarcasmo, oggi con rispetto e qualche ombra di timore.
“Dopo lo scandalo del metanolo, nel 1986, abbiamo compreso che il vino è importante ma che bisogna seguire la via della qualità. Ora i francesi ci temono e quando ci incontriamo alle varie manifestazioni internazionali si avvicinano con semplicità e senza arroganza, anche loro hanno qualcosa da imparare da noi in fatto di vini e di bollicine”.
Però i francesi sanno fare squadra e godono dell’appoggio dei politici e delle banche.
“In effetti noi italiani sotto questo aspetto dobbiamo ancora migliorare parecchio, dobbiamo recuperare terreno ed alla svelta. Ma, quantomeno in Piemonte, stiamo lavorando per quelle finalità”.
Oramai mancano poche ore alla prossima vendemmia.
“Sono fortemente ottimista. Sinora la stagione ci è stata favorevole, dovremmo registrare un’ottima annata in quantità ma anche in qualità, forse siamo un tantino inferiori alla passata vendemmia ma anche quest’anno sarà un autunno molto positivo”.
Finalmente nelle Langhe state scoprendo il turismo e iniziate ad investire in quel senso.
“Ovvio che la decisione dell’Unesco di inserirci tra i siti del Patrimonio mondiale ci ha aperto una porta che dobbiamo sfruttare al massimo. Il Piemonte non ha mai creduto nel turismo, però a partire dalle Olimpiadi Invernali del 2006 che si sono disputate nella nostra regione, a cominciare da Torino, abbiamo compreso che anche quel settore può riservarci piacevolissime sorprese. Nelle ultime settimane hanno aperto diversi bad & breakfast, ogni giorno nelle Langhe ci sono pullman di stranieri. Le agenzie viaggi lavorano parecchio con l’incoming. Vedrai che tra pochissimi anni il Piemonte sarà considerato una regione da visitare”.
Nelle Langhe principiano ad arrivare acquirenti esteri, giorni fa un’azienda storica del Barolo è stata acquistata da un gruppo americano.
“Se anche loro dimostreranno di amare il territorio ed i nostri prodotti non ci saranno problemi, anzi diverrà un vantaggio. Se invece baderanno principalmente al business ci sarà da preoccuparsi.
Diciamo che bisogna rimanere fiduciosi ed ottimisti, ritengo che non vorranno sciupare ciò che abbiamo costruito con amore e sacrificio negli ultimi decenni”.
Da qualche mese sono emersi segnali di riscatto da parte del Barbera.
“In alcune zone stanno collocando parecchi capitali, se hanno la volontà e la capacità di attendere e investire a medio e lungo termine i risultati possono arrivare. A patto che si convincano di puntare sulla qualità. Sino ad oggi il Barbera si è trovato sugli scaffali a pochissimi euro, ma la qualità non la si paga pochissimi euro”.
Più chiaro di così. Rimaniamo attesa di San Martino, per dirla col poeta:
“Ma per le vie del borgo, dal ribollir dei tini, va l’aspro odor dei vini, l’anime a rallegrar”.
Bruno Galante
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