La libertà, la stampa e la Turchia
Nei giorni scorsi il direttore Can Dundar del quotidiano di Istanbul, Cumhuriyet, è stato condannato dal tribunale turco a 5 anni e 10 mesi di reclusione per aver violato il segreto di Stato pubblicando delle notizie sul passaggio di armi dalla Turchia alle Siria, tra i capi d’imputazione vi era anche il tentato colpo di Stato che è stato fatto cadere. Il procuratore aveva chiesto 25 anni.
Nello stesso processo è stato condannato anche Erdem Gul, caporedattore del Cumhuriyet, a 5 anni. Il quotidiano aveva documentato il passaggio di numerosi tir turchi appartenenti ai servizi segreti e carichi di armi con destinazione Siria, armi che dovevano finire nelle mani dei jihadisti in guerra contro Assad.
Ad entrambi è stata risparmiata l’onta della carcerazione e restano a piede libero in attesa della sentenza di appello, unica restrizione il divieto di espatrio.
Non ha gioito il presidente turco Recep Tayyp Erdogan nel momento in cui gli hanno comunicato l’esito, alcune settimane addietro si era scagliato contro la coppia di giornalisti accusandoli di voler scardinare la reputazione della Turchia inventando calunnie e fango ed aveva garantito che il direttore Dundar “avrebbe pagato un caro prezzo” per quelle favole partorite dalla sua fantasia.
Qualcuno ancora ricorderà la richiesta che il signor Erdogan ha rivolto alla cancelliera tedesca Angela Merkel, poco meno di un mese fa, di autorizzare il processo penale nei confronti del comico Jan Boehmermann poiché il giovanotto si era concesso la licenza di ironizzare sulle prestazioni sessuali del presidente turco. La signora Angela prontamente ha accolto il reclamo per non sciupare gli accordi economici e finanziari tra i due stati.
È solo l’ennesima inconsistenza della sgangherata unione europea politica e sociale. Non è difficile immaginare quanti chilometri di risate il presidente turco si sarà fatto all’indomani della strage parigina del 13 novembre 2015 allorquando perirono 130 innocenti, inconsapevoli ed estranei a qualsiasi diatriba. Chissà se Erdogan ha indossato per la circostanza una maglietta con lo stemma francese in occasione dell’altra strage del 17 gennaio 2015, sempre a Parigi, nei confronti del settimanale satirico Charlie Hebdo, 12 morti.
Qualche dubbio sorge.
Per il momento le dogane sono state chiuse ai giornalisti occidentali ed alcuni corrispondenti di testate europee domiciliati ad Istanbul sono stati rimandati a casa senza motivazione alcuna.
La Turchia da decenni sta cercando di entrare nell’Unione Europea, è datata 14 aprile 1987 la domanda di ingresso.
Qualora ciò avvenisse la popolazione musulmana nel vecchio continente lieviterebbe dall’attuale 5% al 20%.
Privare un popolo di esprimere la propria opinione significa fargli compiere un percorso all’indietro di secoli. Non consentire a giornali, radio, tv e ai nuovi sistemi informatici di raccontare la realtà e di commentare secondo la propria visione ciò che accade nel mondo significa sottrarre ad una persona il bene più naturale che esiste e che ha ottenuto sin dalla nascita: la libertà.
Il divieto di informazione è sinonimo di dittatura.
La satira per quanto tagliente possa essere è la forma più sottile della libertà di stampa, satira che il più delle volte colpisce il potere e chi lo esercita. Diventa preoccupante, piuttosto, il silenzio della satira, dei vignettisti, dei caricaturisti nei confronti della casta e delle stanze dei bottoni, potrebbe essere un segnale di resa o di cedimento o di combutta.
Quando il potere tenta di mettere il bavaglio all’informazione è perché ha parecchio da nascondere e da coprire, perché teme che gli altarini vengano scoperti, che i loschi traffici diventino di dominio pubblico, che le trame siano esposte al sole.
In Turchia prende sempre più piede la restrizione nei confronti di chi lavora nelle redazioni, Recep Tayyp Erdogan potendo contare sulla maggioranza assoluta del suo partito, l’Akp, in Parlamento ogni giorno che passa minaccia e punisce quanti osano scrivere e mostrare immagini a lui sgradite.
Altri due giornalisti, Ceyda Karan e Hikmet Cetinkaya, sono stati giudicati e condannati a 2 anni di detenzione con l’accusa di “offesa ai valori religiosi” e “istigazione all’odio” solamente perché sul Cumhuriyet avevano pubblicato alcune vignette di Charlie Hebdo dopo che il periodico parigino aveva subito l’attacco armato da parte di assassini islamici.
Nulla è dato di sapere su ciò che sta accadendo tra la polizia, l’esercito turco e la minoranza curda, è assolutamente vietato l’accesso a giornalisti e cameraman nelle zone in cui avvengono gli scontri.
Tra le ultime dichiarazioni di Erdogan vi è una frase parecchio carina ad una emittente turca pubblica e asservita “l’Europa può andarsene per la sua strada, noi ce ne andremo per la nostra”.
Magari fosse coerente e conservasse a lungo tale convinzione, ne saremmo tutti felici.
Bruno Galante
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