Nell’export l’Italia è la quarta potenza mondiale
Nonostante il rallentamento del 2023-2024, dovuto alla crisi tedesca e degli scambi intra-europei, negli ultimi dieci anni l’export italiano è stato protagonista di una evoluzione rimarchevole.
Infatti, nel 2015 l’Italia era soltanto l’ottavo esportatore mondiale di merci; nel 2024 si è invece collocata al sesto posto, superando nel frattempo Regno Unito e Francia.
Da questa classifica, va precisato, sono esclusi i Paesi Bassi e Hong Kong, che sulla carta ci precedono, ma i cui valori di export sono gonfiati in modo abnorme dai transiti e sono pertanto assolutamente non significativi.
Non solo. Nel primo semestre del 2025, secondo prime stime, le esportazioni italiane dovrebbero aver superato anche quelle della Corea del Sud, come era già accaduto temporaneamente sui dodici mesi dell’anno 2023, sicché l’Italia sarebbe in questo momento al quinto posto tra gli esportatori.
I valori dei due Paesi sono molto vicini, per cui sono possibili continui cambiamenti.
Ma è un dato di fatto che stiamo assistendo ad un serrato testa a testa tra Italia e Repubblica di Corea per la quinta piazza nella classifica dei maggiori esportatori mondiali.
Cosa impensabile una decina di anni fa.
I numeri parlano da soli. Nel 2015, l’Italia esportava 9,3 miliardi di dollari di meno del Regno Unito e 38,8 miliardi di meno della Francia.
Nel 2024 il nostro Paese ha esportato 47,9 miliardi di più della Francia e 162 miliardi di più del Regno Unito.
Sempre nel 2015, l’Italia esportava 69,9 miliardi di dollari di meno della Corea del Sud e 168 miliardi di meno del Giappone.
Oggi la distanza con la Corea, come detto, si è praticamente azzerata e quella con il Giappone si è ridotta considerevolmente.
In questo articolo cercheremo di comprendere le ragioni di questo exploit del Made in Italy, ogni giorno sempre più protagonista sui mercati mondiali.
Nel 2024 soltanto 33 miliardi di dollari hanno separato l’export del Giappone (708 miliardi) da quello dell’Italia (675), dopo che nel primo semestre dell’anno scorso per la prima volta nella storia contemporanea le esportazioni del nostro Paese avevano addirittura sopravanzato temporaneamente non solo quelle della Corea del Sud ma anche quelle del Paese del Sol Levante.
Tuttavia, escludendo i veicoli, nel 92% dei restanti scambi mondiali in valore, l’Italia è già da due anni nettamente il quarto esportatore mondiale di beni, con 628 miliardi di dollari nel 2024, davanti ai soli 557 miliardi del Giappone.
Ciò significa che l’export dell’Italia, escluso l’automotive,è molto più ampio e diversificato di quello nipponico.
Per inciso, l’export di veicoli del Giappone nello stesso anno è stato di 151 miliardi di dollari, contro i nostri 47 miliardi.
Come abbiamo già avuto modo di sottolineare in altre precedenti occasioni, il fatto che nel 2015, cioè appena nove anni fa, l’Italia fosse solo settima al mondo nelle esportazioni di tutti i beni esclusi i veicoli,
ed ora sia salita al quarto posto distanziando non solo il Giappone ma anche Corea del Sud, Francia, Russia e Regno Unito, è un fatto di portata storica, che evidenzia la nostra crescita in termini di competitività ma anche la straordinaria diversificazione del portafoglio di prodotti esportati dal nostro Paese.
Qualcuno forse potrà stupirsi che l’Italia, escludendo i veicoli, sia arrivata a battere nell’export un gigante industriale come il Giappone.
Ma è proprio così ed è interessante capire su quale struttura merceologica delle esportazioni si sia basato questo sorpasso.
A tal fine abbiamo considerato le 97 categorie di prodotti della classificazione HS a due cifre degli scambi mondiali e abbiamo posto a confronto le esportazioni di Italia e Giappone del 2024 per classi di valore dei beni esportati, esclusa la categoria dei veicoli.
Nelle restanti 96 categorie di beni l’export del Giappone è più concentrato di quello italiano in settori di grandi dimensioni.
Il Paese del Sol Levante, infatti, oltre all’automotive (qui non considerato), vanta 2 prodotti ciascuno con esportazioni superiori ai 100 miliardi di dollari (meccanica non elettronica e apparecchi elettrici ed elettrodomestici), mentre l’Italia ne ha uno solo (meccanica non elettronica).
Entrambi i Paesi hanno poi una sola categoria di prodotti con un export compreso tra i 50 e i 100 miliardi di dollari (nel caso dell’Italia sono i prodotti farmaceutici) e quattro prodotti con esportazioni comprese tra i 20 e i 50 miliardi di dollari.
Le esportazioni cumulate di queste prime tre classi di beni vedono il Giappone precedere di gran lunga l’Italia, con 397 miliardi contro i nostri 289 miliardi.
Ma da qui in poi le cose cambiano drasticamente e matura il sorpasso del nostro Paese su Tokyo, grazie al gran numero di beni diversificati dell’Italia aventi un export compreso tra i 5 e i 20 miliardi di dollari: si tratta di ben 24 prodotti, per un valore di 249 miliardi di dollari, contro i soli 10 prodotti corrispondenti del Giappone, per un valore di appena 100 miliardi.
In aggiunta, l’Italia vanta altri 34 prodotti con un export compreso tra 1 miliardo e 5 miliardi di dollari, per un valore di 78 miliardi, contro i soli 20 prodotti del Giappone, per un valore di 44 miliardi.
Allargando il confronto con altri Paesi, è interessante notare che, sempre in base alla classificazione HS a due cifre e ai dati del 2024, l’Italia, con i 249 miliardi di dollari, è addirittura il terzo esportatore mondiale di prodotti della classe di valore da 5 a 20 miliardi di dollari, appena dietro la Germania (288 miliardi) e gli Stati Uniti (282 miliardi).
Il nostro Paese precede la stessa Cina (233 miliardi) e distanzia notevolmente la Francia (168 miliardi) e, oltre al Giappone di cui si è già detto, anche la Corea del Sud (85 miliardi).
In definitiva, è la rivincita del modello del Made in Italy, lungamente sottovalutato da parte di un certo nostro mainstream, se non addirittura giudicato incapace di competere sulla base di infondati luoghi comuni.
Un Made in Italy che basa la sua forza non su mega settori e/o mega gruppi industriali (come è il caso del Giappone ma anche di altre economie come Germania e Corea del Sud), bensì su un notevole arco di beni appartenenti ai comparti più diversi, esportati da qualche importante grande gruppo (tipo Luxottica, Ferrero, Leonardo o Fincantieri) ma soprattutto da un nutrito esercito di imprese medio-grandi e medie, dinamiche e flessibili.
Ciò ci permette di primeggiare in numerose categorie di beni, dalla meccanica alla farmaceutica, dalle navi da crociera agli yacht, dai prodotti alimentari ai vini, dalla cosmetica ai prodotti in metallo, dagli articoli in materie plastiche all’abbigliamento, dalle calzature alle borse, dai mobili alle piastrelle ceramiche.
Sarà probabilmente questa stessa diversificazione, unica al mondo, che potrà aiutare l’Italia a minimizzare i danni e a navigare senza smarrire la rotta nelle turbolenti mareggiate dei dazi di Donald Trump.
Svolgeremo ora un approfondimento più analitico e dettagliato della struttura merceologica dell’export italiano, che confronteremo con quella dei due Paesi che l’Italia ha superato negli ultimi dieci anni in termini di esportazioni (Regno Unito e Francia) e con quella delle due grandi economie asiatiche rispetto alle quali il Made in Italy negli ultimi tempi ha fortemente ridotto le distanze (Corea del Sud e Giappone).
In questo caso considereremo l’export totale, inclusi i veicoli, facendo sempre riferimento ai dati del 2024 ma utilizzando la classificazione HS a quattro cifre che è più dettagliata in termini di tipi e numero di prodotti.
Infatti, i prodotti HS4 sono complessivamente 1.258. Li abbiamo raggruppati, per ciascuno dei Paesi analizzati, in quattro classi:
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- Grandi prodotti, con un export singolarmente superiore ai 5 miliardi di dollari;
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- Prodotti medio-grandi, con un export singolarmente compreso tra 500 milioni e 4,99 miliardi di dollari;
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- Prodotti medi, con un export singolarmente compreso tra 100 milioni e 499 milioni di dollari;
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- Piccoli prodotti, con un export singolarmente inferiore ai 100 milioni di dollari.
Nel caso della Corea del Sud, purtroppo, non è stato possibile distinguere nel dettaglio i prodotti medio-grandi, medi e piccoli che sono stati considerati come un unico aggregato.
La figura 1 mette a confronto la struttura merceologica dell’export di Regno Unito, Francia, Italia, Corea del Sud e Giappone.
Appare subito evidente che gli export della Repubblica di Corea e Giappone, ma anche quello del Regno Unito, sono fortemente concentrati sui grandi prodotti, mentre l’Italia è l’economia con il valore più basso dell’export relativo a tale classe, superata anche, sia pure di poco, dalla Francia.
Tuttavia, grazie all’apporto del forte export della classe successiva dei prodotti medio-grandi, del valore di ben 336 miliardi di dollari, il più alto tra i cinque Paesi analizzati, l’Italia sopravanza con un balzo Regno Unito e Francia e avvicina considerevolmente Corea del Sud e Giappone nelle esportazioni cumulate.
Da notare che il valore dell’export italiano di prodotti medio-grandi è singolarmente più alto perfino di quello aggregato dei prodotti medio-grandi, medi e piccoli della Repubblica di Corea ed è di oltre cento miliardi di dollari superiore a quello dei prodotti medio-grandi esportati dal Giappone.
L’Italia, poi, può vantare anche un significativo export di prodotti medi, pari a 76 miliardi di dollari, con cui avvicina ulteriormente i valori complessivi di export di Corea del Sud e Giappone.
Osserviamo altresì che tra i grandi prodotti esportati dall’Italia figurano comunque molti prodotti caratteristici del Made in Italy, non grandissimi (cioè con singoli export raramente superiori ai 10 miliardi di dollari o superiori di poco), che si avvicinano più ai prodotti medio-grandi che non ai grandissimi prodotti esportati da Giappone e Corea del Sud, come autoveicoli, telefonia, elettronica.
Ad esempio, tra i grandi prodotti esportati dall’Italia figurano: borse in pelle, rubinetteria e valvolame, vini e spumanti, calzature in pelle, farmaci, mobili, macchine per imballaggio, formaggi.
Mentre tra i prodotti medio-grandi dell’export del Made in Italy, con export compreso tra 500 milioni e 4,99 miliardi di dollari, troviamo: piastrelle ceramiche, pasta, prodotti da forno, yacht, capi di abbigliamento femminile e maschile, occhiali, derivati del pomodoro, prodotti a base di cioccolato, cosmetici e profumi, macchine utensili, navi da crociera, ecc.
Questi confronti internazionali ribaltano completamente lo stereotipo di un’Italia schiacciata su prodotti troppo piccoli ed esportati da imprese troppo piccole.
Un’immagine che è stata alimentata per anni da un certo nostro mainstream sempre incline a magnificare i modelli di altri Paesi e a rappresentare l’economia italiana come un soggetto inesorabilmente sovrastato dai grandi competitor, incapace di cogliere le opportunità offerte dall’allargamento e dalla crescita del mercato globale.
I dati, infatti, mostrano che, al contrario, l’Italia primeggia in un notevole numero di prodotti medio-grandi (sono complessivamente 225) e medi (310), che contribuiscono a rendere il Made in Italy più diversificato e specializzato dei concorrenti, mentre il valore dell’export italiano dei restanti prodotti piccoli (che sono in totale 710) è tutto sommato marginale ed ininfluente nella comparazione con gli altri esportatori di taglia simile alla nostra.
In conclusione, dietro i giganti mondiali dell’export (Cina, Stati Uniti e Germania), l’export italiano sta guadagnando posizioni anno dopo anno ed è ormai sostanzialmente sullo stesso piano di Corea del Sud e Giappone.
Ciò in virtù di una crescente capacità competitiva nei prodotti medio-grandi e grandi, che rappresentano oltre l’85C% del nostro export.
Guglielmo d’Agulto


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