L’arroganza di Harvard e l’attacco frontale di Trump
La decisione di Trump di tagliare i fondi all’università di Harvard è letta da molti commentatori come un attacco alla libertà di insegnamento, una prova ulteriore dell’autoritarismo del presidente americano.
Ma le cose si possono leggere anche in un altro modo.
Harvard è un’università privata, ha in cassa un patrimonio di 50 miliardi di euro, frutto delle donazioni fatte negli anni passati dai grandi capitalisti americani che, in cambio, hanno acquisito numerosi privilegi tra cui quello dell’iscrizione gratuita di figli, nipoti e pronipoti.
Come se non bastasse, riceve 9 miliardi l’anno dallo Stato ma rifiuta ogni tipo di controllo su come questi fondi vengono utilizzati.
Infine gode di una completa esenzione dalle imposte.
In più Biden, negli anni scorsi, ha condonato i debiti contratti da molti studenti per la frequenza al prestigioso ateneo, mettendoli a carico della fiscalità generale: le rette, infatti, arrivano a 100 mila dollari l’anno.
Non è certo un’università per poveri.
Questi privilegi sono sempre stati giustificati con il ruolo di primo piano svolto da Harvard nella formazione delle élite politiche, amministrative, finanziarie, manageriali ecc.
L’attacco sferrato da Trump è motivato principalmente dalla sfida che il presidente ha ingaggiato nei confronti della cultura woke, che in Harvard ha uno dei suoi santuari.
Non a caso si trova agli ultimi posti nella recente classifica sulla libertà di espressione College Free Speech Rankings, redatta da FIRE e College Pulse, da cui risulta che, dal 2020 ad oggi, ci sono stati almeno 20 situazioni ad Harvard in cui si è impedito a qualcuno di esprimere le proprie opinioni in pubblico o in cui si sono puniti studenti o professori per opinioni controverse.
Harvard ha anche il punteggio peggiore per quanto riguarda la percezione che gli studenti hanno di quanto l’amministrazione della propria università sia disposta a sostenere e difendere la libertà di espressione.
Una università prestigiosa, certamente, ma nella quale sono esaltate gran parte delle contraddizioni dell’America contemporanea, dominata da una cultura woke che, in nome della libertà di espressione e dell’inclusione, si arroga il diritto di stabilire cosa si può dire e cosa no, cosa si può fare e cosa no, come ci si deve vestire e come ci si deve spogliare.
E di punire le opinioni diverse dalle proprie.
Ossia chi non è con me è contro di me.
Raimondo Adimaro


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