L’inversione di marcia a Cinecittà
«Oggi Cinecittà è piena di produzioni, ci siamo appena stati con la sottosegretaria Borgonzoni a goderci i risultati di una governance intelligente che nell’arco di un anno abbondantemente non solo ha riempito il teatro ma ha tolto l’Unione Sovietica da Cinecittà»: è l’analisi sferzante e ilare del ministro della Cultura Alessandro Giuli.
«Perché prima c’era l’Unione Sovietica».
«Prima c’erano fondi Pnrr che non si spendevano con i tempi giusti, ma chi ha chiesto i fondi non siamo stati noi. Noi però abbiamo fatto un buon lavoro. Noi riconosciamo che chi ci ha preceduto ha saputo richiedere i soldi, ma dopo le idee per spenderli, la capacità di dialogare con i sindacati e le maestranze, l’inventiva e la capacità di trasformare un pezzo di Cinecittà nel più grande teatro cinematografico al mondo si chiama Manuela Cacciamani, si chiama governance di un centrodestra che sulla cultura lavora in silenzio, se possibile, quando non viene provocata», ha aggiunto Giuli.
«Cinecittà secondo chi governa Roma è come se non esistesse. Era governata come l’Unione Sovietica, solo burocrazia, lentezza, controlli asfissianti da parte di nemici giurati della libertà di intrapresa e di movimento» e invece «è uno dei posti più importanti al mondo come teatri, luoghi che hanno costruito la reputazione di Roma e dell’Italia cinematografica nel mondo».
Fino al 15 agosto 2024 Cinecittà era un cratere estivo, un luogo dove realizzavano produzioni monotematiche frutto di un’amministrazione per lo meno discutibile, e soprattutto era sparita dai radar, in un vuoto di investimenti e reputazione.
Poi è arrivata la nuova Ad, Manuela Cacciamani, e la prima cosa che ha fatto, dopo la due diligence, è stata cominciare finalmente a dialogare con il ministero e con il ministero proprietario, il Mef.
Giuli ha citato un suo recente incontro con il Ceo di Netflix, Ted Sarandos: «Cercavo di spiegargli l’importanza di produrre in Italia storie legate alla nostra tradizione, lui aveva capito che avremmo voluto cambiare il logo di Netflix. Era un misunderstanding, ma lo avrebbe fatto pur di lavorare a Cinecittà».
E ancora Mel Gibson, che ha visto a Matera, che «non vede l’ora di andare a Cinecittà perché sa perfettamente che cos’è e sa che abbiamo non solo l’idea di riformulare il tax credit, per premiare le produzioni serie, quelle che non sono fantasmatiche ma reali, ma anche di incoraggiare le opere prime, i giovani che magari spendono poco ma producono valore e ricchezza, i tanti Mel Gibson che magari non sanno ancora di esserlo e sono usciti dal Centro sperimentale, guidato da un’altra eccellenza, Gabriella Buontempo».
Con la nuova governance di Cinecittà si sono riempiti i teatri di produzione, accelerato la spesa dei fondi Pnrr e restituito a Cinecittà un ruolo da protagonista nell’industria cinematografica mondiale. I risultati si vedono, i soldi arrivano, le produzioni sono tante, non solo quelle stellari.
L’impegno è anche a rilanciare via Veneto.
Vi sono stilisti, produttori di cinema di livello internazionale che chiedono di farla diventare la vetrina di Cinecittà: ci vorrà del tempo ma è lecito crederci.
Claudia Treves
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