56 guerre stanno sconvolgendo il pianeta
Il conflitto aperto in queste ore tra Israele ed Iran induce ad una riflessione approfondita sulle sorti del nostro pianeta.
In tutto il mondo si registrano 56 guerre attive, il numero più alto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Nel 2025, la mappa geopolitica globale è attraversata da un numero crescente di conflitti armati, che coinvolgono direttamente oltre due miliardi di persone, pari a circa il 24% della popolazione mondiale (stimata in 8,2 miliardi).
Questo significa che quasi una persona su quattro vive oggi in contesti segnati dalla guerra, con conseguenze drammatiche in termini di vite umane, sfollamenti, povertà, crisi sanitarie e instabilità politica.
Il conflitto in Sudan, riesploso con violenza, ha provocato decine di migliaia di morti e un esodo interno di quasi 13 milioni di persone, di cui 4 milioni rifugiati nei paesi vicini.
Più della metà della popolazione vive in condizioni di insicurezza alimentare acuta, con aree in cui è stata dichiarata la carestia.
In Ucraina, la guerra con la Russia ha scatenato una crisi demografica senza precedenti: tra decessi, emigrazioni e crollo delle nascite, la popolazione rischia di scendere sotto i 25 milioni entro il 2050.
Il Paese affronta inoltre una grave erosione delle infrastrutture civili e un impoverimento sociale diffuso.
In Myanmar, il conflitto interno ha provocato milioni di sfollati e sistematiche violazioni dei diritti umani, con un’intera generazione esclusa dall’istruzione e dai servizi essenziali.
A questi scenari già tragici si aggiunge oggi la crescente tensione tra India e Pakistan, due potenze nucleari dell’Asia meridionale, il cui confronto coinvolge potenzialmente oltre un miliardo e mezzo di individui.
La loro instabilità rappresenta un fattore di rischio sistemico, in grado di minacciare l’equilibrio dell’intero ordine mondiale.
La somma di questi conflitti non configura più una crisi regionale o episodica, ma una ferita globale, una minaccia strutturale alla pace e alla stabilità internazionale.
Le vittime non si contano solo tra i morti e i feriti: le guerre spezzano famiglie, cancellano intere comunità, negano il futuro a milioni di bambini.
Ogni cifra rappresenta una storia, una speranza interrotta, un diritto violato.
La risposta della comunità internazionale, tuttavia, appare ancora disorganica e insufficiente. È indispensabile rafforzare il ruolo della diplomazia, garantire l’accesso agli aiuti umanitari, promuovere processi di riconciliazione e ricostruzione, e investire strategicamente nella cultura della pace e nella cooperazione allo sviluppo.
Il rischio più grande è l’assuefazione: convivere con la guerra come se fosse una normalità accettabile.
Ma ogni conflitto ignorato prepara il terreno a nuove tragedie, e ogni rinuncia alla solidarietà globale mina la sopravvivenza stessa delle istituzioni internazionali.
Serve oggi un cambio di paradigma: non una diplomazia del contenimento, ma della trasformazione, fondata sulla tutela dei diritti umani e sulla costruzione di convivenze giuste.
La pace non può più essere negoziata come eccezione: deve tornare a essere la condizione naturale e permanente dell’agire politico.
Mai come ora, il mondo ha bisogno di coscienza, e la coscienza inizia dalla consapevolezza: viviamo in un tempo di allerta globale.
Il tempo di agire è adesso, subito.
Raimondo Adimaro
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