L’industria evidenzia incoraggianti segnali di ripresa
Dopo 26 mesi di contrazione, la produzione industriale italiana evidenzia segnali di ripresa.
Ad aprile, l’indice destagionalizzato della produzione industriale registra infatti un incremento congiunturale del 1%, con una moderata crescita anche su base trimestrale (+0,4%).
L’analisi dei numeri mostra che la ripresa si estende principalmente ai settori industriali, con l’eccezione dell’energia.
Ma le ombre non sono scomparse.
In particolare, il settore automobilistico continua a segnare il passo, con una produzione che, sebbene in lieve aumento rispetto al 2024 (+1%), non mostra segnali di vero slancio.
Inoltre, l’export appare debole, con una flessione del 2,1%, un dato che potrebbe riflettere una stagnazione economica globale.
A preoccupare, però, sono le incertezze legate all’ambiente internazionale.
La Germania, tradizionale locomotiva per l’industria europea, sta affrontando un periodo di crescita zero, a causa anche delle difficoltà legate ai dazi commerciali, mentre la Francia, con una produzione manifatturiera in calo, non sembra essere in una posizione migliore.
La questione dei dazi, infatti, si rivela uno degli ostacoli principali per la ripresa dell’export europeo.
La Bundesbank, a tal proposito, ha abbassato le previsioni di crescita per il 2025, mettendo in evidenza i rischi di una crescita economica globale meno robusta di quanto inizialmente previsto.
Di fronte a questo scenario, non è casuale che il ministro Adolfo Urso esprima la propria soddisfazione per i dati positivi mostrati dall’industria nazionale.
Una visione condivisa anche da Giorgio Graziani, segretario confederale della Cisl, che sottolinea come questi numeri dimostrino la resilienza dell’industria italiana.
Tuttavia, Graziani non si fa illusioni: “Per consolidare questi risultati e competere globalmente, serve una politica industriale che guardi oltre le emergenze, costruendo le basi per una crescita sostenibile e inclusiva”.
Le parole di Graziani mettono in luce una delle questioni centrali della politica economica italiana: la necessità di un’azione strutturale che vada oltre gli interventi tampone e che prepari il Paese a sfide globali che si fanno sempre più complesse.
“È il momento di sedersi al tavolo”, prosegue Graziani, “per costruire insieme il futuro dell’industria italiana”.
A confermare l’idea di una ripresa che potrebbe consolidarsi nei prossimi mesi è l’Ufficio Studi di Confcommercio, che nota come l’inizio del 2025 sia stato caratterizzato da un marginale recupero, soprattutto per quanto riguarda i beni di consumo.
Questo potrebbe essere un segnale di un possibile miglioramento dei consumi, con una crescita del Pil stimata intorno allo 0,8% per l’intero anno.
Un dato che, se confermato, sarebbe un segnale positivo, ma che al momento appare ancora lontano dall’assicurare un ritorno alla piena stabilità economica.
Tuttavia, le associazioni dei consumatori, pur apprezzando i segnali di ripresa, non mancano di sollevare alcune criticità.
Il Codacons, ad esempio, rileva come la produzione dei beni di consumo, dopo un periodo negativo, abbia registrato un incremento (+1,1% su base annua).
Tuttavia, l’associazione sottolinea che, nei primi quattro mesi del 2025, l’indice sulla produzione industriale ha segnato un calo del 1,2% rispetto allo stesso periodo del 2024.
Un segnale di preoccupazione che potrebbe indicare un recupero parziale, ma non sufficiente a compensare le perdite accumulate negli anni precedenti.
In questo contesto, diventa cruciale la capacità del governo di tradurre i segnali di crescita in politiche industriali concrete, che possano favorire una crescita equilibrata, sostenibile e, soprattutto, inclusiva.
Le incertezze globali, legate alla crescente protezione dei mercati internazionali e alle difficoltà economiche dei principali partner commerciali, sono il terreno su cui si gioca la vera sfida.
In un mondo sempre più interconnesso e competitivo, la strategia italiana dovrà puntare su innovazione, ricerca e sviluppo, ma anche sulla capacità di attrarre investimenti esteri e di adattarsi rapidamente ai cambiamenti dei mercati globali.
Niccolò Rejetti
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