Le imprese non trovano un milione di lavoratori
Le imprese non riescono a trovare un milione di addetti, nonostante in Italia ci siano due milioni di disoccupati.
I paradossi nel nostro mercato del lavoro sono evidenti e uno di questi viene appunto evidenziato dalla CGIA: se i disoccupati in Italia sono poco meno di due milioni, di cui 800 mila circa in età compresa tra i 15 e i 34 anni, secondo il nostro ministro del Lavoro, invece, sarebbero un milione i candidati che le imprese non riescono a trovare.
Non è una novità; nel nostro Paese da sempre la domanda e l’offerta faticano a incrociarsi.
Non solo. Chi è alla ricerca di un lavoro spesso presenta un deficit educativo ed esperienziale notevole rispetto alle abilità professionali richieste dalle imprese.
Detto questo, rimane il fatto che ci sono molte persone, soprattutto giovani, senza una occupazione, mentre tante aziende, anche nel Mezzogiorno, sono costrette a rinunciare a una quota importante degli ordinativi, poiché non hanno le risorse umane sufficienti per far fronte alle nuove commesse.
Dai dati di Unioncamere-Anpal, emerge un elenco delle prime 50 figure professionali di difficile reperimento.
Introvabili sono i saldatori ad arco elettrico, i medici di medicina generale, elettronici/telecomunicazioni, gli ingegneri gli intonacatori (compresi gli stuccatori, i decoratori e i cartongessisti) e i dirigenti d’azienda (di istituti scolastici privati e di strutture sanitarie private).
Di questo primo blocco, in 8 casi su 10 la ricerca degli imprenditori (privati e pubblici) è vana.
Altrettanto difficili da trovare sono i meccanici collaudatori, gli infermieri/ostetriche, i tecnici elettronici (installatore e manutentore hardware), i tappezzieri e i materassai, gli operai addetti a macchinari per la filatura e bobinatura, i saldatori e i tagliatori a fiamma, gli ingegneri elettronici, gli elettrotecnici e gli operai addetti ai telai meccanici per la tessitura e maglieria: in 7 casi su 10 le richieste imprenditoriali rimangono scoperte.
Se al Nord si cercano soprattutto camerieri, commessi e addetti alle pulizie, al Sud la richiesta si concentra su muratori e, anche qui, su camerieri e commessi.
Tra le quattro ripartizioni geografiche del Paese, invece, le maggiori difficoltà nel reperire i lavoratori dipendenti sono emerse al Nordest.
A Bolzano, infatti, nel 2022 si è registrata l’incidenza percentuale più alta pari al 52,5%. Seguono Pordenone con il 52%, Gorizia con il 48,8, Pavia con il 48,3, Trento con il 47,9, Udine con il 47,8, Bologna e Vicenza con il 47,7, Lecco con il 46,9 e Padova con il 46,8.
Sebbene il livello di disoccupazione nelle regioni del Sud si aggiri mediamente sul 15%, anche in questa ripartizione un nuovo posto di lavoro su 3 ha rischiato di non essere coperto.
Le punte più elevate, comunque le scorgiamo a Chieti e L’Aquila con il 43,6%, a Caltanissetta con il 40,5%, Cagliari con il 39,2, Brindisi e Sassari con il 39, Siracusa con il 38,8, Isernia, Matera e Pescara con il 38,5, Benevento con il 38,1 e di seguito tutte le altre.
Analizzando l’incidenza percentuale delle difficoltà di reperimento, dal 2017 a oggi (settembre 2023) è più che raddoppiata.
Se sei anni fa solo il 21,5 per cento degli imprenditori intervistati dichiarava di faticare moltissimo a reperire nuovo personale, nella rilevazione del mese scorso la percentuale è salita al 47,6 per cento.
È evidente che nei prossimi anni la tendenza è destinata a salire ulteriormente.
Il combinato disposto tra calo della natalità e il progressivo innalzamento dell’età media dovrebbe creare non pochi problemi agli imprenditori che, tra le altre cose, saranno chiamati a sostituire un elevato numero di maestranze destinato al pensionamento.
Niccolò Rejetti
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