Meglio tornare alla tavola della nonna e ai prodotti a km 0
Quali sono le previsioni delle abitudini culinarie italiane per il 2019?
Ciò che diversi esperti prevedono è la conferma di crescita per i cosiddetti “superfood”, cioè quegli alimenti che promettono mari e monti per consentirci di rimanere sempre belli, in forma, concentrati nello studio o pieni di energia sul lavoro e nel tempo libero.
Sul termine “superfood” è necessario spendere due parole. Sono quei cibi che qualcuno sostiene siano particolarmente salutari in grado di debellare talune malattie e sui quali si concentra l’attenzione di una parte dell’industria alimentare, del marketing e di coloro che, sostengono, di voler fare qualcosa per la propria salute.
Nella realtà non vi è alcun riscontro scientifico e rimane difficile stabilire quali siano davvero questi supercibi, che ruolo occupano ma innanzitutto se servano a qualcosa.
Non si tratta di “pozioni” realizzate in laboratorio, ma dell’esaltazione di prodotti considerati benefici come il tè verde, la frutta secca come noci, mandorle, semi di zucca o di girasole, e i semi di chia. E poi c’è ancora il mirtillo, il farro e la la quinoa.
Per non parlare dell’ormai celeberrimo avocado, che nell’ultimo anno ha registrato un aumento nelle vendite a doppia cifra.
Ma perché non c’è da compiacersi della crescente passione dei consumatori per questo genere di alimenti?
È presto detto: se da un lato non possiamo che apprezzare una maggiore attenzione delle persone per l’alimentazione, tuttavia il boom dei superfood risponde più ad una carenza di conoscenza che a una vera padronanza delle scelte alimentari.
A ben vedere si tratta di prodotti “scorciatoia” presentati, per la maggior parte, come la via più breve per difendersi dallo stress e dalle fatiche del quotidiano.
Prodotti non solo molto più cari di quelli tradizionali, ma anche idonei ad indurre artificiose semplificazioni culturali: insomma il messaggio sembra essere nitido, ossia è meglio un cibo disintossicante che una dieta attenta!
E dopo i bagordi sulla tavola delle feste, proprio il disintossicante è il nuovo mantra che ci accompagnerà negli spot verso i mesi estivi: del resto l’appuntamento con le spiagge e con i costumi da bagno suggerisce una revisione radicale degli stili di vita assunti durante l’inverno per lasciare il posto ad un’alimentazione sana e principalmente a praticare attività motorie.
Senza dubbio gli italiani oggi prestano maggiore attenzione al mangiare sano e desiderano arricchire la propria dieta quotidiana di cibi e prodotti di qualità, ma allora perché questa polarità?
Perché, accanto a questa attenzione, cresce l’insana passione per i superfood?
Perché, piuttosto, non si mangiano enormi quantità di verdure a foglia verde o prendere l’abitudine di mangiare quotidianamente agrumi?
Anche questi sono superfood.
E invece si esalta l’avocado e persino la curcuma e altre stregonerie alimentari.
Tutti prodotti oramai entrati in maniera preponderante nell’alimentazione degli italiani, con grande gioia dei produttori che si arricchiscono diffondendo nuovi miti alimentari.
Insomma, se si può apprezzare una maggiore diffusione della frutta secca (mandorle, noci, etc.), pare decisamente esagerato il trend dei semi (dalla zucca al girasole, per non dire dei semi di lino o quelli di chia).
E non è tutto: sono molte le merceologie più tradizionali che ambiscono all’etichetta di superfood: pensiamo agli yogurt (che da tempo vantano ogni genere di superpotere) ai quali si sono recentemente aggiunte persino le acque minerali che, addizionate con strani ingredienti, ambiscono a diventare dei superfood.
Insomma, sarebbe il caso di fare una riflessione in più prima di credere alle favole: non solo stiamo buttando via solo un sacco di soldi, ma anche stiamo spazzando via secoli di cultura alimentare instillando nelle nuove generazioni il culto dei “superfood” a discapito di stili di vita più responsabili e corretti.
In tempi brevi ne potremmo pagare le conseguenze.
Niccolò Rejetti
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