La medicina diventi cibo e il cibo diventi medicina
Il 2016 è stato l’Anno nazionale dei cammini, il 2017 l’Anno nazionale dei borghi ed il 2018 è l’Anno del cibo italiano. Anno del cibo dedicato ad uno dei grandi maestri della Cucina italiana: Gualtiero Marchesi.
L’iniziativa è partita dal ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali e da quello dei Beni culturali e del Turismo. Cosa rappresenti il cibo per noi italiani è risaputo in tutto il pianeta, per noi è una questione di gusto, di tradizione, di cultura ed anche di economia.
Se ne sono accorti i responsabili dell’Unesco che hanno inserito nella lista dei Patrimoni dell’Umanità nel 2010 la Dieta Mediterranea, nel 2014 le Zone vitivinicole di Langhe-Roero e Monferrato e la Coltivazione della vite Zibibbo ad alberello di Pantelleria; nel 2015 addirittura la Città di Parma è stata iscritta come città creativa per la gastronomia, vuoi per il prosciutto, vuoi per il parmigiano, vuoi per la Barilla, la Parmalat e la miriade di botteghe sopravvissute all’assalto della grande distribuzione; nel 2017 il riconoscimento è toccato ad Alba, splendida realtà piemontese regina delle Langhe e sede della Ferrero, rinomata per le sue eccellenze come il tartufo, i ravioli del plin, il Barolo, il bonét, la carne cruda; sempre nel 2017 sono entrati i Pizzaioli napoletani nel ristretto elenco Unesco, perché fare la pizza, ovviamente alla napoletana, è un’arte che richiede preparazione, vitalità, creatività, un piatto che tutto il mondo copia ogni giorno. In lista di attesa due altre eccellenze della cucina nazionale: il Prosecco e l’Amatriciana. Riconoscimenti che potrebbero giungere in tempi brevissimi.
I legami tra l’arte culinaria e la cultura sono parecchio stretti e le biblioteche possono testimoniarlo.
Cogliendo le sollecitazioni del ministro Dario Franceschini, che ha sempre posto l’attenzione sul rapporto secolare tra la cultura e l’enogastronomia, Katia Bach, direttrice della Biblioteca Marucelliana di Firenze, mercoledì 7 febbraio ha organizzato una tavola rotonda titolata “Fa’ che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo”.
Al tavolo dei relatori, nello splendido Salone Monumentale, personaggi di spessore come Gian Franco Gensini, già preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia all’Università di Firenze, Donatella Lippi, docente di Storia della Medicina all’Università di Firenze, i chirurghi plastici Andrea Mori e Paolo Alex Luccioli e infine l’accademico di Filosofia Alimentare Alberico Lemme.
Alberico Lemme si definisce farmacista esploratore consulente alimentare e in oltre 15 anni di professione a lui si sono rivolte 15mila persone con problemi di obesità, ipertensione, bulimia e diabete 2.
Persona deliziosa e gradevole sino al momento in cui non si discute di frutta, di verdura, di pasta asciutta, di carne, se poi a qualcuno interessa lo scontro frontale dialettico con veemenza ed impeto roboante, è sufficiente affrontare il tema della “dieta”. Argomento sul quale ha pubblicato tre volumi.
Tra i 15mila che lo hanno contattato vi è la terapista Stefania Vitale, 40 anni, che si occupa di medicina estetica a Firenze.
“Nel 2010 mi è capitato di vedere Alberico Lemme a Porta a Porta e ho pensato ‘questo mi piace’. Ero carica di malanni: tiroide di Hashimoto, insonnia, osteoporosi, crisi ipoglicemiche notturne di una certa gravità, la glicemia a volte rasentava 20. Avevo già girato parecchi studi medici e seguito diverse diete. Lo rintracciai e gli telefonai. Mi disse poche cose, mi chiese di mangiare solo ciò che mi avrebbe prescritto e che ero cicciona. Pesavo 67 kg, e comunque sono alta 168”.
Quando discorre con lo sguardo segue di continuo Alberico Lemme.
“Da quel giorno per un certo periodo gli ho telefonato ogni 48 ore perché ogni volta mi indicava la dieta da seguire. Dopo un mese ripresi a dormire. Alla seconda seduta ero dimagrita di 3 chili. Con la seconda fase i risultati sono stati sensazionali, dagli esami lentamente stavano scomparendo malanni, ansie, paure ed i valori rientravano nella norma”.
Nel frattempo il tavolo dei relatori principia a riscaldarsi.
“Lemme è contro il sistema e ciò gli procura scontri accesi. In tanti lo contraddicono ma non accettano il confronto diretto su argomenti specifici. Ovvio che con il suo metodo si entra in rotta di collisione con la medicina ufficiale e con il potere delle case farmaceutiche”.
Oggi Stefania è tornata una persona normale, il suo orologio biologico non sgarra di un millesimo di secondo, ovviamente lei straveda per il suo orologiaio.
Alberico Lemme intanto narra la sua storia ma soprattutto le numerose incomprensioni con il mondo accademico e con la scienza ufficiale. Si sofferma spesso sulle fughe degli studiosi e sul non volersi confrontare con i risultati conseguiti dalle sue diete.
Naturalmente talune sue affermazioni si trasformano in cazzotti nello stomaco e qualcuno reagisce, di conseguenza si scatena la rissa verbale e la pacatezza dialettica finisce nel water.
“Premetto che non sono venuto a vendere nulla ma solo per confrontarmi con gli accademici presenti. Per sei anni ho sperimentato sulla mia persona la dieta che avevo studiato e preparato ed in dieci giorni ho perso dodici chili. Non ho mai chiesto un centesimo alle casse pubbliche e mi autofinanzio con gli introiti del mio lavoro. La quasi totalità dei dietologi non si presenta ai dibattiti nei quali sono presente solo perché sono incapaci di contestare i miei concetti e le mie tecniche. Il nemico da combattere e sconfiggere è l’insulina, se si riesce a gestire l’insulina i risultati sono assicurati”.
Viene quasi spontaneo rinfrescare la memoria e riprendere le battaglie condotte da Luigi Di Bella ed il suo Metodo per debellare il cancro. Gli scontri con il ministero della Salute, con l’intellighenzia accademica, con l’industria farmaceutica e gli infiniti ed improduttivi dibattiti che si sono protratti per lustri.
Se qualcuno osa avanzare un paragone tra Lemme e Di Bella, allora sì che gli screzi verbali si infiammano a dismisura e come sovente accade alla resa dei conti a soffrire sono i pazienti ed il loro entourage.
I confronti e i dibattiti servono per costruire e migliorare, abbandonarli può essere un segnale di colpa o di debolezza e non giovano alla causa.
Riccardo Dinoves
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